“Io sono un filo d’erba/ un filo d’erba che trema. E la mia Patria è dove l’erba trema”. Ma quello descritto in questo verso di Rocco Scotellaro non è un filo d’erba qualunque, né uno che cresce unicamente nella città natale del poeta, Tricarico – con uno dei centri storici meglio conservati della Basilicata. È un filo d’erba che tratteggia il senso delle nostre radici contadine e che ancora ci inebria e ci distingue.
Un viaggio in Basilicata, sincero e pieno, non può prescindere dal legame con la terra in tutti i modi possibili: dal cibo, alle leggende, dagli antichi mestieri, ai paesaggi. A Tricarico, quindi, il nostro viaggio “contadino” parte davanti alla casa di Scotellaro, l’amato pittore dell’anima con il “sorriso aperto all’amicizia”, per poi passare a Maschito, una delle colonie albanesi lucane nella zona del Vulture –melfese, ricco di tradizioni e dalla vegetazione lussureggiante. Qui, all’indomani dell’8 settembre 1943, un contadino analfabeta diede vita alla repubblica contadina e antifascista. Un esperimento indimenticabile e avvincente di cui parliamo nel nostro almanacco.
Poi ci lasciamo avvolgere dalla luce accecante e sibillina dei Sassi per scoprire un mestiere antichissimo, ormai sparito: l’acchiappa topi. Lo facciamo dando un’occhiata alle piccole fessure, ancora presenti in alcune porte che si aprono sulle stradine arrampicate sulla roccia e facendo una visita al museo laboratorio della civiltà contadina.
Infine, ci concediamo tutto il gusto di un piatto di fave e cicorie: una ricetta umile ma buonissima che vorremo ripetere più volte.
E se durante questo viaggio inebriante tra luoghi, sapori e sensazioni, ci capitasse di essere scossi da un’improvvisa emozione, niente paura: è solo l’effetto di qualcosa che hanno già provato i nostri nonni e i nostri genitori prima di noi.
È la voce della terra che si mischia con quella del grano, della frutta e dell’acqua. Ed è bellissima. Perché è la terra che ancora oggi segna il senso della nostra vita, per almeno tre volte ogni giorno, a colazione, pranzo e cena, anche se non ci pensiamo e tratteggia parte di ciò che siamo.
E allora, concludiamo festeggiando, con le parole – ancora una volta – di Rocco Scotellaro: “Non soffiatemi in cuore/i vostri fiati caldi, contadini./Beviamoci insieme una tazza colma di vino”.
E partiamo!