di Agnese Ferri
Torri, castelli, palazzi nobiliari; ma anche cabine elettriche, però colorate, luminose, raccontate: tutto questo apre le porte per le Giornate FAI d’autunno, che tornano anche in Basilicata sabato 12 e domenica 13 ottobre. Molti i siti da scoprire, tra cui Palazzo Zicari a Matera, restaurato di recente, e l’imponente Monastero di Santa Chiara a Ferrandina. Quest’anno, le aperture portano con sé una novità: per la prima volta, sarà il gruppo giovanile a coordinarle, istituito il 28 giugno. Carmelo Benvenuto, coordinatore FAI Giovani Basilicata, ce ne racconta l’attività. Che non si esaurisce nei giorni delle aperture, che pure ogni volta si rivelano «una bellissima festa di piazza», come le definisce, ma è fatta di tante azioni collaterali e costanti che puntano a una valorizzazione concreta e duratura del patrimonio artistico del territorio. Come nel caso del Castello di Lagopesole, che punta a diventare un “Luogo del cuore” FAI: «Per dare a questo magnifico posto, mix straordinario di natura, arte, cultura e storia, la possibilità di attivare delle pratiche di valorizzazione anche importanti. Quando un luogo viene molto votato, si attivano dei circuiti virtuosi che incidono sul territorio».
Che realtà è quella del FAI Giovani, qui in Basilicata?
«I gruppi giovani attivi al momento sono due, su Matera e Potenza. Ma ci sono già nuclei di volontari che ancora non sono riusciti a costituire veri e propri gruppi, pur essendo comunque attivi nelle varie delegazioni».
Attivi in che modo?
«Ad esempio, in queste due giornate ci sarà una bellissima apertura a Marconia. Racconteranno il legame tra la città e Guglielmo Marconi attraverso delle installazioni all’interno delle vecchie cabine elettriche. È un modo fresco, nuovo rispetto ai codici tradizionali di raccontare il patrimonio, con uno sguardo diverso da quello più tradizionale delle delegazioni maggiori».
Sarete anche a Potenza nella Torre Guevara, aperta nuovamente al pubblico solo di recente.
«La torre è tornata di nuovo fruibile dopo un lungo lavoro di recupero e di restituzione alla comunità. All’interno si potrà visitare una piccola selezione dell’archivio di Franco Pinna, fotografo noto per essere stato al seguito di Ernesto De Martino nelle loro “scorribande” antropologiche nel cuore della Basilicata. Gli scatti abbracciano tutto il territorio lucano».
I siti vengono raccontati da ragazzi e ragazze che hanno tra i 18 e i 35 anni. Da dove arriva la loro esperienza?
«Il FAI spesso crea delle collaborazioni con le scuole, attivando progetti di Pcto, quella che un tempo si chiamava “alternanza scuola-lavoro”. Nella fase di ideazione, progettazione e messa a terra del progetto e delle singole aperture è importante che ci sia un impegno fortemente attivo da parte di quella fascia d’età. In quest’ottica, sono fondamentali le attività di tutorato: il momento di incontro tra i giovani volontari e i giovani professionisti e ricercatori. Un esempio è stata l’esperienza che ci ha portati all’apertura che interesserà Palazzo Zicari, a Matera: la formazione è stata fatta da Vito Porcari, un nostro giovane volontario che si è occupato di studiare il restauro».
Sono legami che durano nel tempo?
«Se si tratta di classi dell’ultimo anno, è un’esperienza che può servire loro come orientamento e per dare continuità all’impegno della Fondazione. Il FAI giovani vuole porsi come intercapedine tra il ruolo di “piccolo apprendista cicerone” al liceo e quello di volontario nell’ambito di una delegazione maggiore. È un’area di transito e accompagnamento per chi si scopre affezionato al FAI tra i banchi di scuola e decide che può continuare ad essere un amico e un volontario».
I siti che raccontate sono normalmente fruibili?
«Non tutti: magari perché sono privati, o perché hanno delle criticità. Cerchiamo di dare la possibilità di entrare in luoghi che altrimenti resterebbero preclusi alla collettività».
Perché venire a scoprirli con il FAI Giovani?
«Il contributo del FAI Giovani sta soprattutto nel tipo racconto che propone di quel sito. Prendiamo il caso di Marconia: è chiaro come le cabine elettriche siano sotto gli occhi di tutti quotidianamente, ma inserirle in un progetto come quello curato da Antonio Poe ce le restituisce in maniera assolutamente diversa. Ed è bello che siano delle voci di giovani tra i 18 e i 35 anni a farlo, in un territorio di cui conosciamo le difficoltà da questo punto di vista. È bello pensare che ci sia una restituzione anche di capitale umano. Inevitabilmente, queste occasioni diventano grandi feste collettive, in cui l’energia di persone che hanno scelto di allontanarsi dal territorio, o ne hanno avuto la necessità, dà un contributo per la realizzazione di queste iniziative. In una regione come la nostra, è una cosa interessante da sottolineare».
Tre parole chiave per le quali questa iniziativa è da non perdere?
«Sicuramente, la prima parola è “cura”. La raccolta fondi, tutte le attività che si fanno in occasione delle giornate, sono un gesto di cura collettivo e servono a consentire al FAI di fare quello che fa. La seconda è “racconto”: è un’occasione in cui diamo voce a pezzi di territorio, spesso in aree interne a volte sofferenti, che in queste grandi feste trovano la possibilità di far sentire la propria voce. E poi “entusiasmo”: dei giovani volontari, che è davvero la cosa più bella che questo percorso mi sta regalando, e poi l’entusiasmo della scoperta. In fondo viviamo in territori in cui spesso tante cose, che pure abbiamo dietro l’angolo, ci restano segrete. L’entusiasmo negli occhi di chi ci viene a trovare in queste giornate».