Alla corte di Federico II di Svevia la cucina era una cosa seria. Anzi serissima. Lo stesso imperatore scrisse due libri sul tema, Il Meridionale, un ricettario pensato principalmente per la cucina di corte, e il più aulico Liber de coquina, un compendio gastronomico redatto in latino volgare contenente ricette che vengono preparate ancora oggi.
Non stupisce quindi che il giornalista e scrittore lucano Raffaele Nigro abbia dedicato a Guaimaro delle Campane, il cuoco dello “stupor mundi”, un romanzo in cui storia, gastronomia e avventura si fondono perfettamente. È Il cuoco dell’imperatore, edito da La nave di Teseo.
Nigro fa iniziare la vicenda nel 1208 a Melfi, città di origine dello stesso autore e del protagonista, un giovane Guaimaro che, accusato di aver ucciso due ebrei, scappa dal suo paese e arriva in Sicilia, insieme ad alcuni soldati. Giunto a Messina, gli capita di incontrare il giovane re Federico, che non riusciva ad andare di corpo. Il fuggiasco prepara al sovrano una tisana che risolve il regal problema e questi, per premiarlo, lo chiama a sé come cuoco, medico di corte e come figura addetta alla salvaguardia della sua salute. Da questo momento in poi i due gireranno mezza Europa, dalla Germania a Gerusalemme, e rimarranno fianco a fianco per mezzo secolo, condividendo vittorie e sconfitte, importanti momenti storici e altri di semplice vita quotidiana.
Una lettura ricca di curiosità, scorrevole, colta e irriverente, che pone l’accento sulla complessa personalità del monarca e del rapporto ambivalente che aveva con il cibo, tra le inquietudini salutistiche e i piaceri della buona tavola.
Il libro è dedicato a Walter Pedullà, celebre saggista e critico letterario che Nigro definisce con affetto “Amico e maestro che ha attraversato con ironia e acume critico il Novecento Italiano”.