“Una volta, mentre ci accingevamo ad attaccare uno di quei paeselli del potentino, vidi sbucare una bandiera bianca con sopra cucite quattro strisce blu. Chiesi a Crocco cosa significasse. “Si tratta della bandiera della Lucania!“, disse. Le quattro fasce sono i fiumi: il Bradano, il Basento e il tuo Sinni”, mi disse orgoglioso. Spartaco e gli altri schiavi si stabilirono proprio tra queste montagne e issarono questa bandiera che significava libertà. Tutti i popoli della terra dovrebbero averne una”.
Sarebbe forse sufficiente questa frase per comprendere il tenore del romanzo “Le memorie di una brigantessa” di Vincenzo Labanca, Siris Editore, che si snoda tra una documentazione e una ricerca delle fonti attenta e una finzione narrativa che tutto sottende, unita al desiderio di raccontare e spiegare l’inferno sociale in cui vivevano i tanti “cafoni” che aderirono al brigantaggio e, insieme, la spietata ferocia di cui furono essi stessi attori consapevoli e vittime.
La storia di Serafina Ciminelli, una delle brigantesse più famose, diventa quindi l’omaggio a una terra, a una cultura e un passato lucano da non disperdere e, insieme, un lucido tentativo – sebbene non imparziale – di raccontare “l’altra parte del brigantaggio”, quella femminile, troppo spesso romanzata e stereotipata.