A cosa siamo disposti per realizzare i nostri sogni? Questa è una delle principali riflessioni che scaturisce dalla visione di “Un giorno della vita”, film che racconta l’amore più profondo per la settima arte, il cinema. «Una favola lucana sul cinema e su un mondo che non c’è più», ha commentato definendo la sua opera Giuseppe Papasso, documentarista e saggista, che ha ambientato il suo primo lungometraggio interamente in Basilicata e, in particolare, nella provincia potentina.
Corre l’anno 1964 in terra lucana e il protagonista è il dodicenne Salvatore (l’esordiente Matteo Basso), il quale nutre una passione sconfinata per il cinema. Nelle scene girate principalmente a Melfi, ma anche tra Forenza, Rionero in Vulture e Barile, si sviluppano le vicende del ragazzino che, con la compagnia degli amici Alessio (Amedeo Angelone) e Caterina (Francesca D’Amico), percorre ogni giorno in bicicletta 5 km per raggiungere il paese vicino, attraversando le strade rurali, con l’obiettivo di poter assistere ai film di una saletta di terza visione. Il bimbo lucano sogna il suo “Cinema Paradiso”, ma deve fare i conti con la morale di un padre rigido, rude e comunista, che vorrebbe per il figlio un futuro nel partito.
Si tratta di una evidente dichiarazione d’amore da parte di Papasso verso il meraviglioso mondo del cinema: il giovane Salvatore scopre della messa in vendita di un proiettore da 16 millimetri, pertanto, viene illuminato dall’ambiziosa idea di creare una piccola sala anche nel suo paese. L’ostacolo è la mancanza di risorse economiche per poter procedere all’acquisto. Così, spinto dal grande sogno, si dirige nel luogo clou (ambientato in piazza Duomo della città federiciana) per sottrarre dalla sede del Partito Comunista Italiano la cassetta nella quale sono custoditi i soldi per inviare una delegazione del partito ai funerali di Togliatti. La saletta del cinema parrocchiale avrà vita fino alla scoperta del furto, mentre il ragazzino finirà in riformatorio.
Il regista ha voluto creare luoghi e atmosfere coerenti con la realtà del racconto. Papasso ne ha curato ogni dettaglio, infatti, emerge fortemente il suo apprezzamento totale per le splendide campagne melfesi («Quando ho visto il film di Salvatores “Io non ho paura” – ha detto il regista durante la presentazione ufficiale -, ho pensato che fossero i luoghi più suggestivi per questo tipo di storia»). Per la scrittura del soggetto, Papasso ha svelato di essersi ispirato a “I quattrocento colpi” di Truffaut.
Il film ha una durata di circa 90 minuti e vede la partecipazione di diversi attori materani fra cui Pascal Zullino, Domenico Fortunato e Nando Irene. Ad impreziosire l’opera ci sono anche le interpretazioni di Maria Grazia Cucinotta, nei panni della madre del bambino, di Alessandro Haber, in quelli di un giornalista e di Ernesto Mahieux nel ruolo di un parroco.