Nel 1963 Lina Wertmuller esordisce alla regia con “I Basilischi”.
Il film è destinato a diventare un cult, come molti altri titoli della regista premio Oscar.
Racconta, con un piglio a tratti ironico e in altri grottesco, il dramma del provincialismo. Della resa dei giovani del Sud a un destino fatto di sopravvivenza piuttosto che di protagonismo sociale.
Un destino solcato dalle scelte degli stessi protagonisti del film che la Wertmuller sceglie di ambientare sull’asse bradanico che separa la Basilicata dalla Puglia, tra Minervino Murge (Bari) e Palazzo San Gervasio (Potenza).
Quest’ultimo è il paese natale di suo padre Federico, avvocato proveniente da una famiglia aristocratica di origini svizzere. La location del film diventa così anche un omaggio alle origini paterne della regista, che visitò Palazzo San Gervasio nel ‘61 insieme al critico cinematografico Tullio Kezich, mentre erano diretti sul set di “Salvatore Giuliano” di Francesco Rosi.
Nella sua autobiografia, “Tutto a posto e niente in ordine” (ed. Mondadori), la Wertmuller racconta che “a Palazzo San Gervasio non c’erano alberghi o pensioni, non sapevamo dove far alloggiare la troupe e i collaboratori”.
La troupe finì con l’alloggiare in una casa del paese che l’Inps aveva appena realizzato per i contadini, che gli fu concessa in prestito.
Oggi, ovviamente, la situazione è diversa: in paese è possibile soggiornare in vari b&B e affittacamere e, oltre alle location de “I Basilischi”, visitare anche la Pinacoteca “D’Errico”, uno dei luoghi d’arte più preziosi e prestigiosi della Basilicata.