Voce e testo di Alessandra Accardo
In una domenica dell’inizio del mese di giugno, una fiumara di persone segue la statua della Madonna di Monteforte che, dalla Chiesa Madre di Abriola, sta per essere portata all’interno dell’omonimo santuario sul monte, a 1400 metri sul livello del mare.
I piedi di molti penitenti sono nudi. Talvolta, qualcuno di loro è costretto a fermarsi per le piccole ferite prodotte alle estremità dalle asperità del cammino oppure per la debolezza provocata dalla lunga settimana di digiuno, come vuole un’antica tradizione.
Molte donne anziane procedono in orazione, con il capo coperto.
Il belare delle greggi al seguito del corteo accompagna il rito. Durante l’ascensione, un’antichissima consuetudine impone ai bambini e agli anziani assetati di bere soltanto il latte degli ovini lì presenti.
Poi, finalmente, si giunge al santuario. Benché la salita non sia lunghissima, infatti, è piuttosto ripida e può essere molto impegnativa.
All’interno del luogo di culto, le donne che desiderano un figlio aspergono l’immagine di San Giovanni Battista con un fiore intriso di latte.
Questo è ciò che rimane di un culto secolare, che aveva in origine lo scopo di implorare anche la pioggia e la guarigione per gli animali, duramente provati dai lunghi inverni. È stato così fino al 1629, quando i francescani decisero di abolire il rito.
Fino a quel momento, davanti al santuario veniva portato il grano cotto nel sagrato insieme al latte per essere dato in offerta alla Madonna. In parte, però, questo prezioso alimento era donato ad alcune donne, incappucciate perché non fossero riconoscibili. Erano le giovani sterili del paese: le uniche a cui era concesso cibarsi del cibo devozionale.
La processione della statua della Madonna di Monteforte è collegata a una ritualità magica che affonda le sue origini nei culti contadini legati alla terra e alla dea madre.
Ed è la viva, ed emozionante espressione della cultura di un territorio straordinario.