Le giuggiole nascondono molte storie e molte magie. Il momento migliore per scoprile è nel periodo a cavallo dell’equinozio d’autunno, quando avviene la raccolta di questi frutti antichissimi.
Nei boschi, rami contorti e rugosi dalla corteccia rosso-scura si allungano verso l’alto e sbocciano in piccole dita di foglie ovali. È l’albero della giuggiola, quasi una rappresentazione viva e vegeta della Basilicata.
Come i lucani, questa pianta non fa rumore, non si mette in mostra con tronchi imponenti, ma rimane aggrappata alla terra con radici lunghe ed estese, fiera della propria umiltà, resistendo tenacemente al vento, alla siccità protratta e al gelo.
Quasi senza farsi notare.
A settembre, però, i suoi frutti piccolini maturano e diventano di un rosso – marrone intenso, rivelando una qualche somiglianza con il nobile dattero. Il modesto alberello, allora, si ammanta di una luce nuova che gli dona un’aura vagamente sacra.
È un’intuizione giusta perché, nell’antichità, i romani lo adoravano al punto da usarlo per adornare i templi della dea della Prudenza e lo consideravano un importante portafortuna. I rami e le giuggiole, inoltre, facevano bella mostra di sé nelle case ed erano così comuni da venire ritratti anche in alcuni affreschi delle domus signorili di Pompei.
Lo stesso accadeva anche in Basilicata, dove si preparava una bevanda inebriante conosciuta sotto il nome iconico di “brodo di giuggiole“: una marmellata dolcissima di cui erano pregne le tavole delle feste.
Ma poi questo culto è stato dimenticato e la giuggiola è sparita dagli orti e dalle cucine.
Eppure il tenace alberello resiste, con le sue piccole spine. Continua ad aspettare: sa che le battaglie non le vincono quasi mai i più forti quanto, piuttosto, i più tenaci e il giuggiulo si distende – quasi inselvatichito – sulle sagome montuose del Parco del Pollino. È però frequente trovarlo anche altrove, per esempio nelle campagne intorno a Tito.
Per qualcuno, la giuggiola è una moda deliziosa e sana, complice il suo alto contenuto di vitamina C. Ma non basta: la giuggiola è un frutto magico.
Nei giorni a cavallo dell’equinozio d’autunno, è possibile trovare alcuni piccoli contadini con i cesti pieni di giuggiole. Alcuni di loro, se glielo chiederete, vi racconteranno una storia fatta di silenzio e di dimenticanza. Secondo alcune credenze, infatti, con i frutti del giuggiolo si produrrebbe una bevanda alcolica che avrebbe il potere di gettare le menti nell’oblio. Ma si tratterebbe solo di un’amnesia parziale. Obiettivi ritenuti vitali fino a pochi istanti prima, o il volto della persona amata, sparirebbero così nel nulla, secondo queste leggende. Tanto che, alcune voci popolari, ritengono che la giuggiola sia alla base dei filtri e delle pozioni d’amore (e disamore) delle masciare (le streghe lucane).
Del resto, proprio questo frutto potrebbe essere il mitico “loto” descritto da Omero nell’Odissea che rese immemori gli uomini di Ulisse nell’isola dei lotofagi.
(A cura di Alessandra Accardo)