Il Castrume Petra Paganae è un’ombra scura sul paese di Pescopagano, che sorge a 954 metri di altitudine nella Valle dell’Ofanto. I rovi e i cespugli lo avvolgono da tutti i lati come un’armatura impenetrabile, proliferando tra le antiche rovine e serrandole in una morsa invincibile.
L’austera rigidità di questo scenario, però, è smussata dalla presenza serena delle molte farfalle e degli insetti impollinatori, delle lucertole e del canto degli uccelli che qui vivono serenamente, protetti dalla dolcezza nascosta dei nidi nel punto più alto del colle.
Nei millenni, questa rocca ha visto passare gli agguerriti Longobardi e le temibili orde Saracene ma, più di tutto, ha temuto i forti terremoti. Eppure, le mura tenaci persistono, almeno in parte, e – pur se nella loro mutilazione – raccontano una storia, avvolta dalla leggenda.
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Credit: paesi.altervista.org
Le prime attestazioni del Castello risalgono al 1400 ma è certo che fosse qui da molto tempo prima, almeno dal IX- X secolo, quando i Saraceni spaventavano le popolazioni, soprattutto nella vicina Colza, oppressa dalle continue incursioni e dalla malaria. Gli abitanti, allora, trovarono riparo qui, nel luogo in oggi sorge Pescopagano: il punto più alto del circondario, meglio difendibile e più sicuro anche sotto il profilo della diffusione delle malattie.
Poi, nel 1164 vi regnò il conte Gionata di Balvano e nel 1200, probabilmente, il castello fu al centro della regolare opera di manutenzione delle strutture fortificate voluta da Federico II di Svevia, in tutto il territorio. Poco dopo, con la caduta di Manfredi, figlio dello “stupor Mundi” a Benevento, Carlo I d’Angiò donò il feudo a Raynaldo de Ponzellis Gallico. Dal 1331, infine, il castello e tutto il territorio passarono nelle mani del regio demanio ed ebbe inizio un periodo di violenze e oppressioni inenarrabili per gli abitanti di Pescopagano.
Proprio a quel tempo, secondo la leggenda, si colloca il dominio di Pietro Pagano.
La sua malvagità era feroce e si scagliava senza ragione contro chiunque, meglio se inerme. Persone, animali, persino Dio: nulla sfuggiva alla sua crudeltà.
Ma fu proprio questo, si racconta, a provocarne la caduta.
In una notte tenebrosa e di vento molto forte, una gallina diffuse il suo canto sgraziato per tre volte. Subito dopo, si udì un rimbombo spaventoso: proveniva dalle viscere della terra che cominciò a tremare, così forte che il castello crollò come fosse una costruzione di carte, un pezzo dopo l’altro, e non ne rimase quasi più nulla. In quello sconvolgimento il signorotto malvagio morì, sepolto sotto le macerie.
Da allora – si dice – il paese che si allunga ai suoi piedi porta il suo nome, quasi un monito contro la cattiveria.