Partiamo per un itinerario magico e rilassante da Rionero a Metaponto. Attraverso spostamenti molto brevi – che potremo compiere anche in bicicletta – alla scoperta della delle piccole riserve naturali lucane, tra siti di importanza comunitaria e zone di protezione speciale per gli uccelli e la fauna selvatica. Ci sposteremo tra ecosistemi umidi e distese aride: una varietà di paesaggi (e suoni!) che altrove è difficile trovare.
Nei dintorni di Rionero, seguendo i canti melodiosi di un assiolo, di un’averla e di una capirossa, si può attraversare la Riserva naturale statale di Grotticelle. È una superficie protetta di 200 ettari in cui si ripete la composizione arborea tipica dei boschi della regione calabro-lucana, caldi e umidi, con essenze orientali. Lo splendore delle foglie di noce, frassino meridionale e cerro si rincorre in boschi abitati da volpi e tassi. Particolarmente interessante è la presenza di una farfalla ritenuta a lungo estinta: la bramea europea, una specie endemica che ha un’apertura alare di 8 centimetri. Da qui, si arriva facilmente alla riserva del Lago Piccolo di Monticchio, tra i comuni di Rionero e Atella. Nelle fresche acque lacustri vive una piccola popolazione del rarissimo tritone italico.
Spostandoci verso Filiano, a circa 500 metri sul livello del mare e su una delle terrazze che dominano la Valle di Vitalba, si può passeggiare in ciò che rimane dell’antica foresta amata da Federico II e in cui, in tempi più recenti, i briganti si nascondevano. È Agromonte – Spacciaboschi, una riserva antropologica e naturale statale. In un querceto misto a cerro, con roverella e altre specie, la vegetazione è fitta. Nei tronchi dei grandi alberi, il picchio verde trova spazi ottimali per vivere e il verso acuto del nibbio, soprattutto d’estate, risuona felicemente. Oltre alle poiane e ai gheppi, a volte capita di individuare anche le impronte di un lupo. Inoltre, la riserva di Spacciaboschi nasconde i resti di Acermontis, un florido abitato medievale, con i ruderi di una chiesa, alcune mura e un fortilizio che, secondo alcune leggende sarebbe collegato al castello di Lagopesole attraverso un condotto sotterraneo.
Poco distante, in località “Carpini” ci si può avventurare in un’altra piccola riserva statale che si arrampica tra i 700 e i 1000 metri sul livello del mare, “I Pisconi”. Anche qui, il cerro e le querce sono le specie arboree dominanti intervallate da distese di roverella, frassino e acero campestre, con un fitto sottobosco di biancospino, rovo e corniolo. Benché difficilmente si mostreranno, sono abitudinari in questa zona la volpe, il gatto selvatico, il tasso e la donnola mentre il canto più frequente è quello della ghiandaia. Nascosto nella parte più inaccessibile della riserva, c’è un sito di valore storico e antropologico inestimabile: la grotta del Riparo Ranaldi, in località Tuppo dei Sassi. Qui, nel 1964 furono scoperti alcuni graffiti in ocra rossa che ritraggono figure di animali, cervi con grandi palchi e alcune immagini antropomorfe tra cui una (probabile) rappresentazione della Dea Madre.
Con un po’ più di sforzo, raggiungiamo la costa ionica lucana fino al bosco pantano di Policoro. Definita dai viaggiatori del Gran Tour una foresta sacra e incantata, quest’area è oggi una Riserva Naturale Orientata di 1200 ettari. È un sito d’importanza comunitaria (SIC) e una Zona di protezione speciale (ZPS). Si tratta del relitto di una ben più estesa foresta planiziaria. Nella parte definita “Pantano Sottano”, sopravvivono gli alberi patriarchi di cerro, frassino, ontano nero, pioppo bianco e acero campestre. In prossimità del litorale, invece, è facile imbattersi nel raro giglio marino. Tra cervi, daini, ricci, istrici e lepri, il frequentatore più amato della riserva è la tartaruga marina Caretta caretta. Per dare una mano a proteggerla, ci si può rivolgere al centro recupero Fauna selvatica (CRAS) dell’Oasi WWF Heracleia.
A poca distanza da qui, l’itinerario prosegue nelle Riserve naturali statali di Metaponto e di Marinella Stornara, nell’area di Bernalda. Quest’ultima è nota per una foresta rara di pino d’Aleppo di origine naturale. Una curiosità: il nome “Stornella” deriva dall’abitudine invernale degli storni a fermarsi in questo territorio, riconoscibili per i disegni complessi e coordinati che producono nel cielo, in volo.