Nel buio della notte, tra l’1 e il 2 novembre, nei paesi del materano, coaguli d’ombra si rannicchiano sulle strade. Qualcuno assicura di aver udito, in questa serata così speciale, il rumore strisciante di vesti e quello tipico di passi lenti sul selciato, mossi da qualcuno che non abbia più alcuna fretta. Altri, riferiscono addirittura del suono sinistro degli zoccoli dei cavalli.
È Il silenzioso corteo delle anime dei defunti che dal cimitero raggiunge il centro abitato. Si dice che nella notte di Ognissanti i fantasmi tornino nelle proprie case per dare uno sguardo fuggevole ai propri cari oppure che si radunino in chiesa per recitare insieme la messa dei morti. Ai bambini che possono vederli è sconsigliato avvicinarsi perché potrebbero essere condotti nell’Aldilà.
Queste sono alcune delle lugubri leggende legate al culto dei defunti in Basilicata.
Oggi, il loro impatto sulle comunità è minore benché ancora in parte presente, al punto che non è infrequente che il 2 novembre, giorno della commemorazione dei defunti, si eviti di fare festa, in un clima di generale raccoglimento.
In passato, sulle tavole si apparecchiava per i propri cari passati a miglior vita e, in loro suffragio, si preparava un piatto, per lo più a base di legumi e castagne, da offrire anche alle persone più fragili mentre ceri si accendevano in diverse parti della casa, in numero corrispondente a quello dei propri affetti scomparsi.
A Tolve, un’antica usanza –in parte riscoperta – impone il rito della preparazione collettiva della cucci’a, una zuppa a base di grano e ceci. I mendicanti e i poveri erano soliti bussavare alle porte delle abitazioni per chiederne un piatto che veniva loro offerto in suffragio delle anime del purgatorio. Anche i bambini beneficiavano di questa ritualità: il loro gioioso sorriso e le piccole manine che afferravano i piatti della minestra rasserenavano i cuori e avevano il merito di rallegrare i vivi e i morti.
Ma alcune delle credenze più interessanti sono quelle della Città dei Sassi. Dal vecchio cimitero comunale, in via IV Novembre, si racconta che le anime del Purgatorio camminavano per le antiche strade per poi dileguarsi improvvisamente: erano le “malambr”. La loro presenza costituiva un monito per i vivi: una raccomandazione perché fossero giusti e saggi.
A volte, invece, era Sant’Eustachio a cavallo a condurre la processione delle ombre. La sua presenza, in qualche modo rassicurante, era bilanciata a Matera dalla più macabra apparizione de “N’ men’ch vstjt d bionch“, il monaco bianco: appariva nei luoghi dove c’era stato un lutto per poi perdersi nelle strade più buie dei Sassi, da Piazza Vittorio Veneto fino alla chiesa di Sant’Antonio Abate. E faceva paura.
Sono riti antichi dai suoni ancestrali e credenze che si perdono nella notte dei tempi. Hanno il beneficio di farci amare ancora di più la vita e creano l’illusione dell’esistenza, da qualche parte, di un varco o di una botola nascosta che ci consenta di abbracciare tutti quelli che abbiamo amato e che non ci sono più.