Sguardi.
Sguardi rubati nella penombra di un sottano, a Potenza. Quando si viveva tutti insieme in stanze malsane – spesso senza finestre – sotto il livello stradale. Eppure, la luce che penetrava dall’unica porta aveva con sé il dono dell’amicizia e dell’abbraccio rassicurante della famiglia. È l’idea che prorompe da quest’immagine degli anni ’50, pubblicata nel volume “Come eravamo – Potenza”, di Typimedia editore.
Una mamma è china sul lavatoio. Le sue mani sono immerse nell’acqua fredda, attinta – probabilmente – da una delle fontanelle nei dintorni di via Pretoria. Non c’erano ancora i tubi, né l’acqua corrente, all’epoca, in queste abitazioni. Ma, intorno, l’intera città viveva certamente di una nuova frenesia: la guerra era finita da poco. Qualcosa di questa smania di rinascita riluce negli occhi dei bambini curiosi che, nell’istantanea, osservano la scena. Alcuni sono i figli della giovane donna in primo piano che non fa nulla di diverso rispetto a quanto non facciano le madri di ogni epoca.
Ma c’è dedizione particolare in questo scatto d’altri tempi. Racconta del tentativo di migliorare le condizioni di vita della propria famiglia. Una tempra combattiva che si svela nel modo in cui i panni sono lavati. Ed è qualcosa che ha a che fare con la natura femminile globalmente intesa e che travalica la maternità: il senso della cura degli altri.
Ma proprio quando ci sembra di aver notato tutto in questa scena, scopriamo un ultimo dettaglio. Le scarpe della donna in primo piano sembrano lucide: espressione del desiderio di prendersi cura, un po’, anche di se stessa.
Un vezzo di straordinaria e femminile umanità che ha attraversato i secoli e le generazioni e che è rimasto intatto fino ad oggi.