Il casato dei Pipino nacque grazie all’abilità di Giovanni Pipino da Barletta, assoldato alla corte angioina di Napoli intorno al 1280. Distintosi per capacità amministrative e militari, nonché grazie a una serie di astute scelte matrimoniali, egli fu in grado di ritagliarsi non solo un ruolo di primo piano, ma anche un piccolo feudo tra Puglia e Basilicata. I suoi nipoti furono dunque di nobili natali, sebbene per nulla nobile fu la loro vita.
Il più famoso tra tutti fu Giovanni, conte di Altamura. Nato nel primo quarto del 1300, egli visse una giovinezza tra le armi, coltivando l’ambizione di aumentare i suoi possedimenti fino a conquistare uno sbocco sul mare. Per farlo, si lanciò in spregiudicate operazioni militari, tentativi di sobillare il popolo a suo vantaggio e veri e propri atti di banditismo, soprattutto nel periodo di semi-anarchia che il regno visse in seguito alle lotte dinastiche tra angioini e ungheresi seguite alla morte del re Roberto d’Angiò.
Tuttavia, non ebbe mai successi duraturi. Acquistata la città di San Severo dal regio demanio, dovette assediarla per entrarne in possesso, giacché i cittadini si rifiutarono di lasciarlo entrare. Fallito questo tentativo, si spostò a Barletta, dove lasciò imperversare i suoi mercenari, accanendosi contro la famiglia rivale dei Della Marra e contravvenendo agli ordini del re di deporre le armi. Inseguito dalle forze reali, si asserragliò coi fratelli nel suo castello di Minervino, ma dovette soccombere dopo mesi di assedio e passò alcuni anni in carcere, perdendo diversi possedimenti. Liberato dopo la morte del re nel 1343, passò gli anni successivi a tentare in ogni modo di riacquistare le terre perdute, raccogliendo armati e imperversando per il regno, cambiando spesso casacca e subendo pertanto le ire dei vecchi alleati.
Dopo l’incoronazione di Giovanna I e Luigi di Taranto, nel 1352, il periodo di instabilità sembrava finito. Ma non per Pipino, che si schierò con Luigi di Durazzo e ricominciò a saccheggiare i possedimenti dei suoi avversari e degli stessi sovrani, anche nello sforzo costante di mantenere le truppe mercenarie assoldate. Nel 1356 occupò e saccheggiò Matera. Braccato dalle forze del principe Filippo di Taranto, si rifugiò nel fortino di Porta della Bruna, ormai allo stremo delle forze tentò lo stratagemma che una volta lo aveva salvato dall’ira dell’alleato tradito, il re d’Ungheria. Uscito dal forte in maniche di camicia, si gettò ai piedi del principe con un capestro al collo, in un disperato gesto di sottomissione. Ma questa volta non riuscì: ricondotto in catene ad Altamura, fu impiccato e squartato da quattro cavalli. Le sue braccia e le sue gambe furono appese alle porte delle città di Matera e Altamura. Qui, proprio su Porta Matera, è ancora visibile un bassorilievo con una gamba, a monito dei briganti e dei tiranni.