Donna Isabella nacque intorno al 1520 alle pendici del Massiccio del Pollino, nel maniero della sua nobile famiglia, i Morra, baroni di Favale (l’odierna Valsinni, in provincia di Matera). Sua madre era Luisa Brancaccio, di antica stirpe napoletana. Ma fu il padre Giovanni Michele a trasmetterle, fin da piccola, l’amore per la poesia e le arti.
In realtà egli, come del resto i figli maggiori, perseguì un’importante carriera militare al seguito del re di Francesco I di Francia. La sconfitta di questi contro Carlo V d’Asburgo lo tenne a lungo lontano da casa. Isabella e i suoi fratelli più piccoli, dunque, restarono a Favale; l’educazione della giovane proseguì nell’ambito letterario grazie al precettore, che la istruì sull’opera di Dante, Petrarca e dei classici.
I fratelli, invece, erano d’animo più rozzo, terribilmente gelosi della sensibile sorella, al punto da costringerla quasi sempre nelle sue stanze, alla disperata ricerca di qualcuno di animo affine al suo.
Lo trovò in Diego Sandoval de Castro, barone di Bollita (l’odierna Nova Siri, Matera), poeta e autore di un volumetto di rime petrarchiste. I due intrapresero uno scambio di lettere, per tramite del precettore, con lo stratagemma di fingere che fosse la moglie di lui, Antonia Caracciolo, la vera corrispondente di Isabella. Non sappiamo se, in effetti, si amassero, o se invece avessero semplicemente trovato l’uno nell’altra sincera amicizia, affinità e condivisione. Ma i fratelli Decio, Cesare e Fabio Morra, scoperto l’inganno e temendo una relazione clandestina (per di più con uno spagnolo!), che avrebbe macchiato in maniera indelebile l’onore della famiglia, ordirono l’omicidio dei due e del complice, il pedagogo di Isabella, che morì per primo.
La povera Isabella fu la seconda vittima, sorpresa ancora con le lettere in mano e pugnalata a morte intorno al 1546. Per ultimo toccò a Don Diego, ucciso in un agguato nel bosco di Noepoli (Potenza) a colpi di archibugio. L’uccisione del nobile provocò indagini e processi, grazie ai quali furono requisiti e messi agli atti gli scritti della giovane poetessa.
I soli dieci sonetti e le tre canzoni pervenuti fino a noi sono stati sufficienti per fare di Isabella una delle più apprezzate poetesse del Rinascimento. I primi a tributarle il giusto riconoscimento furono Angelo De Gubernatis e Benedetto Croce, che ne esaltarono lo stile originale e raffinato, sincero, intriso della malinconia e del dolore che facevano parte della quotidianità della povera giovane, disperata per la sorte che l’ha costretta a sottostare alle angherie dei suoi rozzi e incivili fratelli, ma in grado di trovare un minimo di conforto nella fede.