Un pastore, un gregge di pecore, un’ape e un castello. Sono questi gli ingredienti di una storia che ormai è leggenda nel parco di Gallipoli Cognato e delle Piccole Dolomiti Lucane e che continua ad affascinare i lucani, all’ombra del torrione dell’antica fortezza di Pietrapertosa…
Pietrapertosa sorge a oltre 1000 metri sul livello del mare. È il comune più alto della Basilicata. Arrampicarsi fino a qui produce un’ebbrezza simile a quella che, probabilmente, devono provare i falchi in volo. Si osserva la terra dall’alto e se ne sentono i profumi e gli odori in una miscellanea di sensazioni amplificate.
Intorno, le cime delle montagne sembrano colossali animali mitologici, trasformati in pietra da una bisbetica Medusa o da un mago malvagio: ogni fantasia sembra possibile. Così, appare, seducente con il suo carico di storia e leggende, il Castello di Pietrapertosa.
È costruito sulla parte più alta delle Coste di San Martino. È Immerso nelle quiete dei picchi delle Dolomiti Lucane, inespugnabili come fortezze. Tra il X e XI secolo, in queste zone imperversavano i saraceni. Fecero di Pietrapertosa un avamposto militare e Bomar vi fece erigere il maniero ricavandolo dalla roccia arenaria. Una fortezza tra le fortezze naturali.
Poi, i secoli passarono e delle scorrerie e della grandezza araba rimasero alcune parole nelle pieghe del dialetto e nelle strade tortuose dell’Arabatana,
I pastori presero possesso dell’antico maniero. Sui suoi resti, cresceva infatti erba soffice e verde: l’ideale per le piccole greggi al pascolo. E qui s’insinua la leggenda.
Un giorno, si racconta, un pastore sentì una voce implorare aiuto. Era flebile e sottile, come la voce di uno spirito. L’uomo spaventato corse via e raggiunse il paese. Raccontò tutto ma nessuno volle credergli. Quando fece ritorno alla rocca, il suo gregge era stato massacrato con un’incredibile ferocia.
La voce era ancora lì e continuava a implorarlo. La paura di fronte a quello spettacolo di morte divenne ben presto ira. Il pastore, roso dalla rabbia e dal dolore, brandì con forza il suo bastone e colpì la torre del castello da cui sembrava provenire la voce. Il colpo produsse una piccola fenditura, nel torrione visibile ancora oggi.
Dal buco, uscì un’ape d’oro. Era stata rinchiusa al momento della costruzione del castello. Per secoli, raccontò all’uomo, era rimasta segregata all’interno delle mura. Ma ora, finalmente, poteva uscire e ricominciare a volare.
Quella notte, continua la leggenda, l’ape raggiunse il pastore e gli promise la ricchezza. L’indomani mattina, nella sua povera casa l’uomo trovò un nuovo gregge, più grande di quello perduto e un sacco pieno d’oro.
La miseria era finita.