La storia di Potenza è spesso lacunosa e interi periodi trascorrono senza che ne rimanga memoria. Il primo a tentare di colmare questo deficit storiografico è, nel 1600, Giuseppe Rendina. A lui è attribuito il merito di aver scritto “L’Istoria della città di Potenza”.
Il 20 maggio 1608, nella cattedrale del capoluogo lucano, si celebra il battesimo del piccolo Giuseppe. Con lui ci sono la mamma Vittoria Pascale e il suo papà Ottavio Rendina, una coppia di nobili locali.
D’indole mite e incline all’osservazione, Giuseppe è avviato alla carriera ecclesiastica presso il seminario della città. A volte, da ragazzo, passeggia per le strade alla ricerca di piccoli tesori. È consapevole che le chiese, spesso, tradiscono età più antiche di quanto si potrebbe supporre e che le pietre sono testimoni di molte storie andate perdute. Cova il sogno di farle riemergere e di capire ciò che è stato.
Intanto diventa sacerdote ed entra a far parte di una “ricettizia” , ovvero di un’associazione di preti locali che gestisce i beni della Chiesa. Grazie a questo ruolo, Giuseppe ha accesso illimitato agli archivi degli istituti religiosi. Ed è proprio in quei manoscritti che il sacerdote trova molte note che confluiranno, tra qualche anno, nella sua “Istoria”.
La sua vita scorre tranquilla fino all’estate del 1647. A Napoli divampa la rivolta guidata da Masaniello, un pescivendolo che si fa portavoce della rabbia e della frustrazione degli ultimi. Il popolo, infatti, è esasperato dalla pressione fiscale, così forte da strozzare qualunque attività. L’ultima tassa imposta è quella sulla frutta fresca e secca che costituisce, insieme al pane, la fonte alimentare principale per le classi più umili. La protesta giunge anche a Potenza dove, il 7 novembre, si verificano moti violenti che vengono sedati rapidamente. Ma, intanto, il popolo si scaglia contro i nobili, tra cui anche Giuseppe Rendina, che comincia ad avere paura. Quando la sua casa viene incendiata scappa a Roma.
Quello che, all’inizio, il sacerdote vive come un esilio diventa uno dei periodi più prolifici della sua esistenza. Conosce gli intellettuali e gli animatori della vita culturale romana e stringe solide amicizie con Camillo Tutini, padre Zaccaria Boverio da Saluzzo e col monaco cistercense Ferdinando Ughelli. Quest’ultimo, in particolare, sta lavorando a “Italia Sacra”, una serie di volumi in cui riporta notizie delle diocesi della Penisola. Probabilmente Giuseppe collabora con lui alla stesura della parte che riguarda Potenza ed è certamente in questo momento che concepisce l’idea di scrivere una storiografia della città. Nel 1662, torna nella sua città e comincia a redigere uno dei testi più importanti per la narrazione dei fatti potentini.
Di quest’uomo così attento a trovare e a studiare i segni del passato, ironicamente, si perdono però le tracce e dal 1673 non si conosce più nulla.