La famiglia Gattini è stata uno dei più importanti casati nobiliari di Matera. Ad essa è legato anche un feroce episodio avvenuto in città l’8 agosto del 1860: l’eccidio del conte Francesco.
All’epoca, il popolo non aveva un forte ideale politico, era piuttosto interessato alla spartizione delle terre demaniali confiscate ai baroni e alla chiesa, e a pagare meno tasse. A Matera, come anche nelle altre città del sud Italia, c’erano due fazioni: i borbonici (di cui facevano parte prevalentemente i nobili) e i liberali (gli intellettuali). Francesco Gattini si schierò coi liberali, insieme al suo segretario Francesco Laurent.
Ma la parte borbonica della città cercò di sfruttare l’insofferenza del popolo, scagliandolo contro di lui: venne fatta circolare la voce che la famiglia Gattini avesse avuto una denuncia, per possesso indebito di parte delle terre del demanio. Così, impaurito dalla folla agguerrita, il conte il 30 luglio del 1860 si rinchiuse all’interno del suo palazzo in piazza Duomo e si affacciò dalla finestra verso la folla, promettendogli di restituire quelle terre acquisite irregolarmente. La folla pretese la stessa cosa anche dal vescovo Gaetano Rossini che, colto alla sprovvista, promise accertamenti.
Il sindaco Tommaso Giura Longo si dimise e al suo posto venne sostituito dal liberale Giovanni Corazza. Il Comitato Cittadino dell’Unità d’Italia (di cui il conte Gattini faceva parte) inviò l’avvocato Giambattista Matera, per esaminare eventuali inesattezze sulle terre del conte. La nobiltà riuscì ancora una volta a raggirare il popolo materano, facendogli credere che tale avvocato facesse gli interessi del Gattini.
Il 7 agosto i materani cercarono di incendiare il Palazzo Gattini ma non ci riuscirono. La moglie e i figli del conte partirono verso Altamura e infine verso Trani. Il giorno dopo – l’8 agosto – la folla si radunò inferocita sotto il palazzo per vedere questi fantomatici atti notarili. Ma il conte, arrabbiato di quanto accaduto il giorno prima, fece l’errore di lanciare dal suo balcone una manciata di ducati, urlando con disprezzo “Mangiate, facchini!”. A quel punto, dopo tale umiliazione, a suon di forconi e pale la gente riprese con le minacce; e un colpo di fucile rimbombò nell’aria: era un avvertimento del conte. Ma la rabbia dei materani fu ancora più forte, tanto forte da scardinare il portone ed entrare nel palazzo che fu saccheggiato e perlustrato in ogni stanza. Il conte, nel frattempo, si era lanciato, grazie a un collegamento, nel fienile di palazzo Malvinni-Malvezzi.
La sua fuga fu inutile perché venne trovato e portato in piazza Sedile dove fu brutalmente ucciso, insieme a due suoi collaboratori, con le urla: “Viva il Re, morte a Gattini”.
Il giorno seguente arrivò a Matera uno squadrone di soldati, che condannò all’ergastolo molti tumultuosi e altri scontarono altre tipologie di pene. Tra l’11 e il 13 agosto vennero spartiti 2400 ettari di terreni, per calmare gli animi dei materani.
Questo episodio è stato anche un precursore del brigantaggio post-unitario in Italia.