Le mani sono grosse e ruvide; come il volto, dimostrano probabilmente più anni di quelli realmente trascorsi. Non c’è nulla che non sappiano fare, quelle mani: cucire, lavare abiti con un’acqua così gelata da avvizzire pelle e sensazioni, ricamare, cucinare, fare pasta e pane profumati; far crescere una spiga di grano o un albero di mele in una terra che sa essere anche molto avara.
La donna ritratta in quest’immagine, immortalata a Potenza (o dintorni) in un momento imprecisato degli anni ’40 del 1900 rivela tutto questo. Conduce l’asino su cui siede comodamente il marito con un’indomita ed elegante fierezza. Non sembra aver bisogno di nulla e ricorda per la matura compostezza certe divinità femminili invincibili.
La giornata nei campi è finita, si torna a casa. Lungo il tragitto, il suo consorte può riposare. Lei no, e non potrà farlo neppure dopo poiché, probabilmente, dovrà anche cucinare. Un’immagine intensa, tratta dal libro edito da Typimedia editore “Potenza – Come eravamo”. Uno scatto che tratteggia un’idea precisa della donna e della sua subalternità di fronte all’uomo, così diffusa per buona parte del secolo scorso.
Eppure, riesce difficile immaginare questa nonna d’altri tempi piegata e sottomessa. Il modo in cui incede e quello in cui vive la fatica senza subirla le restituiscono una dignità ammirevole, che ne fanno il perno decisivo di tutta la famiglia. E delle generazioni future.
Un’immagine tratta dal volume di Typimedia editore “Potenza – Come eravamo”