Carlo Levi (Torino 1902 – Roma 1975) è stato un poliedrico intellettuale (medico, pittore, giornalista, scrittore e politico) di origini ebraiche. Cresciuto nel fervido ambiente culturale della Torino del primo Novecento, ebbe modo di conoscere e collaborare con personalità quali Cesare Pavese, Antonio Gramsci, Luigi Einaudi, Carlo Rosselli, Edoardo Persico e Lionello Venturi. Le sue origini, le sue frequentazioni, e la sua adesione al movimento antifascista “Giustizia e Libertà”, lo misero presto nel mirino del regime, che infatti lo condannò al confino in Basilicata nel 1935. Dopo un primo periodo a Grassano (Matera), sospettato di proseguire i contatti con altri confinati e antifascisti, dopo pochi mesi fu inviato in un paese ancora più isolato, immerso nei calanchi dell’alta Val d’Agri: Aliano (Matera).
L’esperienza del confino alianese lo segnò profondamente. Si ritrovò infatti catapultato in un mondo e in una società che gli apparvero quasi aliene, con regole proprie, ma al contempo piene di dignità e antica sapienza. Quella che definì poi la “Civiltà” dei contadini del Mezzogiorno, che nel cuore della Lucania trovava, ai suoi occhi, la più pregnante realizzazione, lo coinvolse al punto da influenzare la sua vita per sempre.
Tornò a casa in anticipo di due anni, nel 1936, grazie all’amnistia per la vittoria nella guerra d’Etiopia, ma non recise mai il legame intessuto con la comunità lucana e i luoghi del suo confino, che dipinse con grande intensità, maturando uno stile più vicino alla sobrietà e al rigore ad essi intrinseci.
Tra il 1943 e il 1945 rielaborò la sua esperienza in un libro: il suo “Cristo si è fermato ad Eboli” è al contempo diario personale, reportage di denuncia e analisi storica e sociale. La grande eco che ebbe a livello nazionale, insieme agli sforzi dello stesso Levi per sensibilizzare l’establishment politico e intellettuale sulla situazione drammatica in cui versavano le popolazioni meridionali, sancì l’avvio di una stagione di grandi investimenti e progetti di respiro internazionale che diedero, di fatto, un nuovo futuro alla Basilicata e in particolare alla città di Matera, considerata da Levi la “capitale” di quel mondo contadino.
Visse poi soprattutto tra Torino e Roma, dove ebbe un’importante carriera da giornalista, artista e senatore. Tornò nella “sua” Basilicata diverse volte, ma in particolare due sono degne di nota. La prima, nel 1960, per preparare, insieme al documentarista e fotografo Mario Carbone, la straordinaria tela “Lucania ‘61”, un dipinto lungo 18,5 m esposto, oggi, al Museo Nazionale di Matera. E infine l’ultima: spirato a Roma nel 1975, la sua salma fu traslata nel cimitero di Aliano, proprio dove, durante il confino, amava fermarsi a dipingere lo straordinario paesaggio lunare dei calanchi infiniti.