Dopo l’Unità d’Italia nel sud Italia si assistette al fenomeno del “grande brigantaggio”. Le cause – come spesso la storia ci insegna – furono le solite: la miseria e la disoccupazione. A cui si aggiunse anche l’aggravarsi della questione delle terre demaniali.
Le bande di briganti erano composte da criminali comuni, contadini disperati, soldati dell’ex esercito borbonico che non vollero giurare fedeltà al nuovo re. In Basilicata, in particolare, il fenomeno era manovrato anche dagli ex murattiani per rendere il sud Italia ingovernabile ai Savoia e assegnarlo ai francesi dei Murat. Questo non fece che acuire la profonda disparità tra il sud e il resto dell’Italia. Infatti si iniziò a parlare di questo ritardo economico dandogli un nome: questione meridionale.
Tra i briganti più noti dell’epoca figuravano: Giuseppe Caruso di Atella; Pasquale Domenico Romano, il “Sergente romano” di Gioia del Colle; Michelina de Cesare di Caspoli; Maria Oliveiro di Casole Bruzio; il più celebre Carmine Crocco, detto “Donatello”, di Rionero in Vulture, e Nicola Summa, detto “Ninco Nanco”, di Avigliano.
Per circa cinque anni, diverse schiere di briganti, seguiti dai contadini, vissero di rapine, ricatti e omicidi tra il Tavoliere delle Puglie, le Murge baresi, i boschi di Monticchio e le difficili gole del materano. Crocco si distinse dagli altri briganti per la sua tattica bellica ben organizzata e le imprevedibili azioni di guerriglia ed era al comando di ben duemila uomini. Fu ribattezzato, in quell’epoca, in diversi modi: “generale dei briganti”, “generalissimo” o “Napoleone dei briganti”.
Per reprime questi moti venne costituita la Guardia Nazionale e, nel giro di cinque anni, in Basilicata morirono 6219 briganti. Sulla testa di Carmine Crocco vi era una taglia di 20.000 lire. Saccheggio dopo saccheggio, rapina dopo rapina, tradito da una delle sue più fidate sentinelle, Giuseppe Caruso, che iniziò a collaborare con i piemontesi, iniziarono a essere scovati tutti i nascondigli dei briganti che, per la gran parte, vennero uccisi. Anche Ninco Nanco fu freddato il 13 marzo 1864. Carmine Crocco fu costretto a nascondersi costantemente e venne catturato ad agosto del 1864. Dapprima condannato a morte, poi per un atto di clemenza di Vittorio Emanuele II, venne condannato ai lavori forzati a vita nei bagni penali di Santo Stefano e di Portoferraio, dove morì nel 1905. In carcere scrisse la sua autobiografia.