L’11 settembre 1872 viene emanata la sentenza del processo a Carmine Crocco, il brigante di Rionero in Vulture (Potenza), in cui viene accusato di 67 omicidi, danni per un 1.200.000 lire, sequestro di persona, formazione di banda armata: la Corte d’assise di Potenza ne decreta la condanna a morte.
Il 13 settembre del 1874, però, grazie ad un atto di clemenza del re Vittorio Emanuele II, la pena viene commutata in ergastolo. Dalla prigione di Santo Stefano (Isole Ponziane), Crocco viene trasferito nel bagno penale di Portoferraio (Livorno) dove trascorre il resto della sua vita, fino al 18 giugno del 1905, quando muore.
Il suo comportamento in carcere fu sempre impeccabile, tanto da far pensare di essersene andato in pace. E infatti questo traspare dalla sua autobiografia: «Un sincero pentimento e 40 anni di ergastolo, possono redimere l’uomo di fronte al giudizio del suo simile e il peccatore dinanzi a giudizio di Dio».
Eppure, si parla pur sempre del capo indiscusso delle bande del Vulture con un esercito di circa 2000 uomini, di un criminale fuorilegge, noto anche con appellativi quali “generale dei briganti”, “generalissimo”, “Napoleone dei briganti”. Infatti, nonostante i numerosi crimini, venne ammirato anche dai suoi nemici per la sua grande astuzia, tattica e le scaltre azioni di guerriglia.