“A Montepeloso, nel grande castello, ci stava un tesoro assai bello, era il tesoro di Santo Francesco sempre tenuto allo fresco” recita un’antica filastrocca popolare e il tesoro cui fa riferimento è quello della cappella ipogea di San Francesco ad Irsina.
Irsina è uno dei borghi più belli d’Italia e si trova in provincia di Matera. Visitandola può capitare di perdersi tra le sue vie un tempo popolate da antichi palazzi nobiliari e non solo. Nell’affascinante paese lucano, ricavata all’interno di una torre quadrangolare del vecchio castello normanno, è nascosta la Cripta di S. Francesco, riccamente affrescata con richiami giotteschi, evidenti nella scelta dei personaggi e nell’architettura complessiva.
IL FEUDO DI MONTEPELOSO E I NUGENT
Montepeloso, come era chiamata Irsina fino al 1895, è stato anche feudo e la famiglia Nugent e in particolare la contessa Margherita, l’ultima a godere del titolo di feudataria, lasciò un ricordo profondo nella popolazione irsinese.
Correva l’anno 1933 quando veniva pubblicato a Bergamo “Affreschi del Trecento nella Cripta di San Francesco” di Margherita Nugent, frutto di una scoperta quasi fortuita di quegli anni.
LA CRIPTA
La contessina Margherita Nugent, appassionata e critica d’arte, scopre il tesoro nascosto nella cripta di San Francesco, già descritta dallo storico Michele Janora e per prima ne fa uno studio accurato scavando a fondo nel legame esistente tra l’arte trecentesca, l’influenza giottesca e il patrimonio artistico culturale locale.
La cappella ipogea era stata edificata probabilmente nel XIII secolo, in epoca romanica e affrescata verosimilmente nel XIV secolo, periodo a cui risale anche la costruzione della chiesa superiore dedicata al santo.
Gli affreschi furono commissionati dai Del Balzo, nobili signori di Montepeloso e protettori storici dei francescani, che ne fecero la loro cappella gentilizia. In particolare si deve a Margherita Del Balzo e a sua figlia Antonia l’ideazione del ciclo pittorico in cui si rinvengono i temi cari alla pittura del Trecento e l’inconfondibile ispirazione giottesca.
A chi entra nella cripta si presenta innanzitutto l’affresco di San Francesco d’Assisi, uno dei motivi che fecero probabilmente pensare alla Nugent che si trattasse di un oratorio francescano.
Il patrono d’Italia è raffigurato con la croce in una mano e un libro nell’altra.
Quello negli ipogei fu un ritrovamento fortunoso che avrebbe aperto la strada a studi ulteriori e soprattutto avrebbe fatto conoscere ai lucani e non solo un vero e proprio gioiello. È, infatti, grazie al lavoro dell’ultima feudataria di Irsina alla sua fine cultura e alla sua sensibilità critica, se oggi si può guardare con occhi diversi, più consapevoli, a quei dipinti. Margherita Nugent riuscì con la sua opera monografica a realizzare un vero e proprio manuale in cui tracciava un percorso esaustivo che dalla scuola pittorica fiorentina passava attraverso altri riferimenti toscani (Siena, Pisa), giungendo sino all’arte di Napoli e Roma per volare pindaricamente nel panorama celtico e ritornare in territorio “nostrano”. Con dovizia di particolari scandagliò tutte le opere: dal ritratto del Santo, alla scena della Presentazione al tempio, all’Incoronazione della Vergine Maria.
Sulle pareti della cappella ipogea ci sono i dottori della Chiesa, Ambrogio Girolamo, Ilario ed il Pontefice Urbano V; gli apostoli Pietro e Paolo, alcuni della famiglia Del Balzo; S. Ludovico da Tolosa; S. Elisabetta d’Ungheria; i Patriarchi, i Profeti Maggiori e quelli Minori, Santa Chiara per citare i principali, e altre immagini che sono state eccessivamente logorate dal tempo.
Ogni volto, ogni dettaglio, le figure dei santi, le ambientazioni, le prospettive, l’uso del colore e delle tecniche pittoriche sono passate al vaglio della storica dell’arte che ne ha decifrato i codici per una lettura complessa, risalendone alla datazione e dando finalmente la possibilità di conoscere un patrimonio immenso fino ad allora lasciato senza un’interpretazione, rendendolo leggibile.
COM’È OGGI
La cripta è visitabile, anche se purtroppo non tutti gli affreschi sono visibili. Quelli della parete settentrionale sono andati perduti e sono sopravvissuti la Dormitio Virginis e San Ludovico da Tolosa. Meno rovinata è la scena della Crocifissione, la più emblematica di tutto il ciclo che, nonostante il tempo e gli eventi è ancora ravvisabile in tutta la sua drammatica profondità. In quella piccola cappella ipogea è racchiusa una significativa parte della storia artistica di Irsina.