Dieci torri fanno da cornice al castello normanno-svevo della città di Melfi, gioiello del Vulture, a cui è possibile accedere attraverso quattro ingressi: tre risalgono all’epoca angioina, il quarto, quello attualmente utilizzato, fu aperto dai Doria, altra famiglia nobiliare che fu ospite del maniero.
Quello di Melfi non è semplicemente un castello, è un simbolo riconoscibile e iconico e, come molti dei suoi analoghi disseminati per la Basilicata, anch’esso è scrigno di storie e leggende. Uno degli eventi che sconvolse l’equilibrio della cittadina federiciana fu la cosiddetta Pasqua di Sangue.
LA PASQUA DI SANGUE
Il 23 marzo del 1528 l’Italia era ormai terra di contesa tra i Francesi e l’impero asburgico e Melfi, governata allora dal principe Giovanni Caracciolo, si trovò ad essere, suo malgrado, il campo di battaglia di un durissimo scontro che vedeva contrapposta la Francia e il vicereame di Napoli.
Si trattava di una lotta apparentemente ad armi pari che sarebbe culminata nell’assedio di Melfi e nella sconfitta del Caracciolo. Se, infatti, sulla carta entrambi gli schieramenti sembravano disporre degli strumenti per la vittoria, nei fatti non fu propriamente così: la fazione francese guidata da Odet de Foix, visconte di Lautrec, poté contare sulla presenza di mercenari senza scrupoli, tra cui spiccava un nome: Pedro Navarro. La disparità si fece sempre più evidente, l’esercito del visconte di Lautrec era spietato e padroneggiava avanzatetattiche di assedio che portarono la roccaforte sveva a capitolare.
Dopo aver seminato il terrore nella vicina Puglia, le truppe francesi avanzarono verso la Basilicata. Navarro era esperto di mine e grazie alla netta superiorità numerica sulla quale potevano contare le sue milizie ingrossate anche dalle Bande nere fiorentine, ebbe la strada spianata. Così, dopo una prima iniziale battuta d’arresto nella sua avanzata, riuscì a entrare nella città di Melfi e ad espugnarla.
UN DESTINO SCRITTO TRA LE MURA DEL CASTELLO
Si palesò così al principe Caracciolo l’ineluttabile destino a cui sarebbe stata consegnata Melfi: comprese, infatti, che nulla avrebbe potuto contro quel susseguirsi di azioni e decise di ritirarsi, con le sue milizie restanti, rifugiandosi proprio tra le mura di quel castello che da sempre aveva protetto la popolazione e che ora invece, la lasciava alla mercé del nemico: tremila caduti in giorni che sarebbero passati alla storia come l’eccidio di Melfi o la Pasqua di sangue.
La posizione del principe di Melfi è stata oggetto di interpretazioni incerte. Il suo ultimo gesto per la città sarà visto da alcuni come una resa: la consegna della città nelle mani del nemico, una scelta obbligata da un destino ormai segnato, altri vedranno Caracciolo quale valoroso che condottiero combatté sino all’ultimo per difendere la città.
COM’È OGGI
L’unico accesso al castello oggi è quello aperto dai Doria, la famiglia che lo trasformò in un palazzo baronale. Mantiene attualmente molti tratti strutturali dello stile normanno-svevo, oltre al suo suggestivo fascino, rimasto inalterato nei secoli.
La Sala del Trono ospita il Museo Archeologico Nazionale del Melfese, con tutto il suo patrimonio di costumi e usi, intitolato a Massimo Pallottino. È possibile anche accedere alle scuderie e ad altre opere realizzate per volere di Carlo d’Angiò e alla “Sala delle scodelle”, dove furono promulgate le Costituzioni di Melfi nel 1231.