Lo sguardo curioso di una bambina potentina negli anni ’40 del 1900 di fronte all’obiettivo della macchina fotografica; la malcelata rassegnazione all’immobilismo richiesto dal fotografo negli altri due piccoli ritratti; e la pazienza composta negli occhi dell’anziana nonnina al centro, avvezza a non aspettarsi mai nulla, in un intreccio di dita che è quasi protezione da ogni possibile sciagura, mentre un leggero guizzo di vanità quasi affiora dal sorriso appena accennato della madre.
C’è un mondo intero (e sparito) in questa immagina pubblicata da Typimedia editore nel volume “Come eravamo – Potenza”. Un mondo di vite umili che si inseguivano nei “sottani”, le abitazioni malsane – spesso senza finestre – che si trovavano sotto il livello stradale nel centro storico di Potenza e in cui gruppi familiari numerosi e intergenerazionali condividevano tutto: spazi, letto e cibo.
In un’unica stanza buia e malsana si stava tutti insieme, tra il chiocciare delle galline e il raglio dell’asino. Questi volti erano l’espressione della miseria in luoghi dove, con rapidità ferina, si diffondevano le malattie e, quindi, forse, si imparava anche l’importanza della “cura”.
All’esterno o all’interno da questi locali si apprendeva con facilità anche la multiforme varietà di caratteri e sentimenti, ascoltando e parlando al momento giusto.
Il senso forte dei legami familiari e dell’empatia che contraddistingue i lucani di oggi forse lo dobbiamo proprio a loro: a questi volti eloquenti e bellissimi in un’immagine immortale che ci fanno sentire tutti parte della stessa commovente commedia.