La radice dal sapore piccante usata secondo la tradizione in cucina e come potente rimedio medicamentoso
A Potenza è conosciuto come u tartuf’ d’i povr’, il tartufo del povero, nel resto d’Italia è il rafano lucano. Ma comunque lo si chiami, questo prodotto è un’eccellenza della Basilicata, amato per il suo sapore particolare e per la coltivazione locale strettamente legata alle aree dell’Agonegrese, della Val d’Agri e del Vulture. Il rafano lucano si usa da così tanti anni nella regione, e per scopi tanto vari, che ha ottenuto la certificazione PAT, dedicata a tutti quei prodotti italiani le cui metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura risultano consolidate nel tempo, omogenee per tutto il territorio interessato, secondo regole tradizionali, per un periodo non inferiore ai 25 anni.
La radice di rafano è molto carnosa, può essere lunga fino a 50 cm, il suo diametro va dai 2 ai 7 cm e si presenta con una brunastra rugosa e pieghettata e all’interno con una polpa molto soda, di colore bianco-crema. Il suo gusto piccante e l’aroma acre derivano dall’olio contenuto all’interno, responsabile del suo sapore che ricorda quello della senape. Tradizionalmente il rafano viene piantato nel periodo di primavera, tra marzo e aprile, interrando pezzi di radice a circa 10 cm di profondità nel terreno. Il periodo di raccolta è invece l’autunno/inverno, quando la radice raggiunge una buona dimensione: di solito ci vogliono 2 o 3 anni dalla prima coltivazione per poter iniziare a raccogliere radici utilizzabili.
Una volta raccolto, il rafano può essere essiccato, tritato o conservato sott’olio e utilizzato in diversi modi. Fin dai tempi più antichi, infatti, è apprezzato per le sue proprietà benefiche, che lo hanno reso negli anni un prodotto usato come rimedio medicamentoso per diversi tipi di malesseri. Le nonne lucane, per esempio, lo proponevano in forma di succo o come decotto macerato nel vino bianco per sconfiggere anemie e rachitismo, reumatismi e sciatica. Oggi è molto diffuso anche l’utilizzo del rafano in cucina: in Basilicata viene usato soprattutto per la rafanata, frittata tipica del periodo di carnevale, ma si trova spesso anche accoppiato con pasta, carni e zuppe.