Quindici bianche e alte colonne, 10 su un lato e 5 su un altro. Erano 32, in origine, e molto colorate, allocate su 4 lati. Quelle che restano bastano per intuire la passata grandezza di questo sito: sono le Tavole Palatine, il tempio dedicato ad Hera, la divina moglie di Zeus, a Metaponto.
Su ognuno dei colossi di pietra ancora in piedi si contano 20 scanalature, sormontate da capitelli in stile dorico. Il vento che proviene dal mare rimbalza tra le fessure e gli avvallamenti, cantando.
Musica e matematica sembrano le vere muse, dopotutto, di quest’opera grandiosa.
PITAGORA A METAPONTO
“C’è geometria nel mormorio delle corde. C’è musica nella spaziatura delle sfere”.
È una frase di Pitagora che presso le Tavole Palatine visse gli ultimi anni della sua vita. Genio della filosofia e della matematica, descriveva la natura in maniera analitica sulla base di un’intuizione legata alla lunghezza delle corde della lira.
Nato intorno al 575 a.C., il grande matematico giunse sulla costa ionica lucana dopo aver lasciato Crotone; sembra vi sia restato per circa 20 anni in cui rilucette come un faro sulla piana. Si racconta che la sua abitazione sorgesse nei pressi del santuario.
Secondo Timéo, uno storico siciliano, la sua dimora sarebbe stata trasformata nella Casa delle Muse di Metaponto: un luogo di incontro, di discussione e di insegnamento prioritario.
Da qui, ogni mattina, Pitagora partiva per lunghe passeggiate con i suoi allievi. Questo era uno dei momenti più importanti dei suoi insegnamenti. Nel corso delle camminate, infatti, ci si dedicava allo studio della filosofia e all’apprendimento delle regole della natura, spiegabile attraverso i numeri. Il percorso era sempre lo stesso e terminava presso la foce dei fiumi Bradano e Basento, in un itinerario dall’inequivocabile forma di triangolo rettangolo.
DOPO LA MORTE DI PITAGORA
Molte sono le leggende legate alla morte di Pitagora. Una di queste racconta che, preso dalla disperazione per la scomparsa prematura di alcuni suoi allievi, il maestro greco rimase 40 giorni senza mangiare, nonostante i suoi discepoli gli portassero regolarmente tutte le sue vivande preferite. Altri ancora, narrano che la sua fine sopraggiunse a seguito di un devastante incendio scoppiato nella sua casa in cui i suoi amici, pur di salvagli la vita, non esitarono a immolarsi, facendogli da scudo con i loro corpi. Pitagora sopravvisse ma, profondamente prostrato nell’animo, si uccise, annegando in mare.
Dopo la sua morte, la tomba di Pitagora fu per secoli un luogo di pellegrinaggio da parte di dotti e studiosi dell’antica Roma. Anche Cicerone, nell’80 a.C., raggiunse Metaponto per rendere omaggio al maestro greco. La sua fama era tale che, per alcuni, il tempio di Hera sarebbe sorto sopra il sepolcro di Pitagora.
COM’È OGGI
Nel corso dei secoli, molte delle statue, dei fregi e delle pietre del Tempio di Hera sono state saccheggiate e utilizzate per la costruzione di case e masserie. Le decorazioni fittili che ornavano il tempio sono conservate al Museo nazionale di Metaponto.
Molto è andato perduto, ma davanti allo spettacolo di ciò che resta, si rimane imbambolati come davanti a un’epifania. Tra le solide colonne usurate dal tempo, infatti, anche la teoria pitagorica della metempsicosi risuona come una nota acuta regalandoci ritorni inaspettati di anime antiche, in altre forme.
Le Tavole Palatine, pur se in parte mutilate, mostrano ancora con fierezza la loro esatta geometria e le proporzioni perfette. Guardandole al tramonto, mentre il vento s’insinua tra le colonne svettanti e gli uccelli si arrampicano sui capitelli per liberare i propri canti, non possono non tornare alla mente echi scolastici degli insegnamenti di Pitagora che affermano che sono i numeri l’essenza di tutte le cose, ma che sono uniti alla musica e alla dialettica da un unico grande motore: l’amore.