A Potenza, lungo la zona industriale posta al di là dei binari della ferrovia, con i fabbricati e le costruzioni moderne tra via della Fisica e viale del Basento, sorge Ponte San Vito. I potentini amano chiamarlo genericamente “il ponte romano”. Ed è di questo che si tratta, in effetti. Vederlo apparire all’improvviso genera sempre un piacevole stupore.
È stato costruito tra il 248 e il 305 d.C. , per volere di Diocleziano. All’epoca, muli e carovane si fermavano a cercare ristoro in questo tratto di fiume che correva accanto all’importante via Herculea, 400 chilometri di strada che collegavano Ariano Irpino a Venusia (l’attuale Venosa) .
Secondo la tradizione, il nome di questa infrastruttura romana, in origine, era: “Ponte di Sant’Aronzio”. La motivazione è legata al martirio dell’omonimo santo, patrono di Potenza prima di San Gerardo, che sarebbe avvenuto proprio qui.
Secondo la leggenda, Aronzio, un giovane della provincia di Cartagine, si era convertito al cristianesimo insieme ai suoi 11 fratelli. Con loro, portava avanti una convinta opera di evangelizzazione tanto da diventare già noto al tempo dei suoi contemporanei. All’epoca, però, Roma guardava con malcelato sospetto la religione cristiana e ovunque erano in atto persecuzioni e limitazioni di ogni sorta alla pratica del culto.
Aronzio fu ben presto arrestato e condotto in Italia. Tutto sembrava essere ormai perduto per lui e per i suoi fratelli quando, durante la traversata, scoppiò una tempesta. Il vento ululava e la nave su cui viaggiavano sembrava essere destinata a inabissarsi tra i flutti. I soldati romani tentarono di tutto pur di salvarsi e invocavano i loro dei. Ma non accadde nulla. Terrorizzato, il generale Valeriano che li guidava chiese ad Aronzio di provare ad invocare il suo Dio. E il mare ritornò improvvisamente calmo. Tuttavia, sbarcati in Calabria, proseguirono il viaggio verso Roma. Lungo la via Herculea, proprio alla base del Ponte di San Vito in costruzione, i romani imposero ad Aronzio e ai suoi fratelli di rinnegare la loro fede. Ma non accadde.
Aronzio guardò i suoi carnefici con calma, pregò e porse il capo ai soldati. Immediatamente, la base del ponte si tinse di sangue. Una donna aveva assistito alla terribile scena e quando il piccolo esercito si fu allontanato, si accostò al luogo del massacro ma con stupore si accorse che i corpi, lasciati lì poco prima, erano spariti. Al loro posto c’erano solo dei fiori gialli, belli e molti profumati. Li raccolse e li pose in un panno di lino che poi nascose nella sua abitazione. Alcuni anni dopo, la donna, ormai anziana, ritrovò quell’involto. Al suo interno trovò ancora i fiori intatti: freschi, bellissimi e profumati come appena colti. Erano ginestre, i “pip’li”, in dialetto, il regalo di Sant’Aronzio ai potentini che, allora come oggi, fioriscono ovunque nei dintorni del capoluogo.