Il 16 ottobre 1954 il poeta e scrittore – futuro Nobel per la letteratura – Eugenio Montale, tratteggia un intenso ritratto del poeta lucano Rocco Scotellaro sulle pagine del “Corriere della sera”. Montale, infatti, paragona l’arte delle liriche di Scotellaro – morto prematuramente, meno di un anno prima, per una crisi cardiaca – a quella “popolaresca” e pittorica del migliore Marc Chagall.
È solo uno dei tanti intellettuali italiani che in quel periodo esaminano, esaltandola, l’opera del “poeta contadino” resa ancora più toccante dal racconto della natura umana, empatica e profonda, dello scrittore originario di Tricarico.
“Avvincente, generoso, entusiasta, con qualcosa della tempra di un eroe garibaldino; uno di quegli uomini che lasciano una scia dietro di sé”. Così lo descrive Montale che aggiunge, anche, che “in Rocco l’accento non batte sulla letteratura ma sulla vita: e che hanno ragione i suoi ammiratori quando esaltano la sua figura di uomo nuovo, bruciato da una breve ma intensa vita di umana partecipazione ai problemi di una civiltà (la «civiltà contadina») alla quale egli fermamente credeva. E non c’è dubbio che in un simile solco si manterrà vivo il suo ricordo tra gli amici, e anche tra coloro che, come chi scrive questa nota, si rammaricano di averlo incontrato troppo raramente”.
Umile e sognatore, ma mai banale, Scotellaro è una delle voci più interessanti e toccanti della prima metà del Novecento ed è stato di monito ad altri, forse più noti, come Pier Paolo Pasolini e Carlo Levi. È un autore che ha il merito di aver messo in luce gli aspetti più profondi di una cultura troppo spesso sottaciuta e bistrattata: quella lucana, storica e contadina.