Il 27 maggio 1799 a Tito, in provincia di Potenza, Francesca De Carolis Cafarelli muore fucilata dai Sanfedisti. La sua colpa è aver lottato strenuamente per la libertà e contro il governo dei Borboni.
Quando giunge in piazza, scortata dalle truppe borboniche capeggiate dal brigante Gerardo Curcio, detto “Sciarpa”, Francesca barcolla. È stata a lungo orrendamente torturata e i segni delle percosse subite sono ben visibili sul suo corpo. Sembra così inerme, in quelle condizioni, davanti ai suoi concittadini. Quando le è intimato di gridare: “Viva i Borboni” forse ci si aspetta che quelle parole siano proferite subito e facilmente, seppure con solo un filo di voce.
Invece, la donna, davanti allo sguardo muto dei suoi compaesani, urla, a voce alta e stentorea: “Viva la Libertà, viva la Repubblica”.
Lo stupore è immenso.
Quelle sono, però, le sue ultime parole. Di lì a poco, cadrà riversa nel suo stesso sangue crivellata di colpi. Per fermare il suo ardore rivoluzionario, gli aggressori non hanno potuto fare altro che ucciderla.
Francesca De Carolis ha creduto fortemente negli ideali di libertà, uguaglianza e fraternità imposti dalla rivoluzione Francese. Ha educato a questi valori i suoi 7 figli. Del resto, ha condiviso tali ideali con suo marito, Don Scipione Cafarelli. Per loro, la proclamazione della Repubblica napoletana è stata fonte di estrema gioia. Ma, ora, è tutto finito. Dopo aver saccheggiato Picerno, le truppe sanfediste guidate da Sciarpa sono infatti riuscite a raggiungere Tito e a nulla sono valsi i tentativi di opporsi portati avanti dalla popolazione.
Francesca muore. Umiliata e ferita ma ancora indomita.