Dall’ultimo civico di via Lucana, prima di addentrarsi a Matera-Sud, si intravede un cippo in memoria delle vittime del 21 settembre 1943, una data che viene ricordata come la “strage di Matera”.
Quanto seguì a quell’evento fu la liberazione della città dal nazifascismo. Come spesso la storia insegna, però, non tutti i riscatti avvengono senza pagare uno scotto, il più delle volte pesante. Ciò che avvenne nei giorni che precedettero quel traguardo storico ebbe una portata devastante per la popolazione materana.
Il nazifascismo in Italia era giunto al suo ultimo atto con l’armistizio di Cassibile e con il proclama Badoglio dell’8 settembre del ’43, forse è per questo che l’eccidio compiuto nella città dei Sassi ebbe la dinamica di una vendetta, in un contesto di guerra.
Dopo che la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, le cosiddette “camicie nere”, lasciarono il Palazzo della Milizia di Matera, questo fu occupato dalle truppe tedesche guidate dal maggiore Schulenburg poi indicato come uno dei nazisti più pericolosi da “rintracciare e processare”. Tra gli orribili misfatti di cui si macchiarono i soldati tedeschi ci fu proprio la strage di Matera. I “guastatori”, sentendosi traditi e accerchiati per l’arrivo imminente degli alleati, vollero rendere questo passaggio ancora più difficile, trasformandolo nell’ennesima tragedia di un conflitto che aveva già causato perdite e distruzione.
L’ESCALATION
I giorni e i momenti che precedettero il “21 settembre” videro un’escalation di violenze: si verificarono una serie di episodi che inasprirono il clima in città fino all’evento culminante.
Uno scontro a fuoco nei pressi di una gioielleria, forse un tentativo di rapina non confermato da tutte le fonti storiche, in cui restarono uccisi due militari tedeschi, il timore che iniziava a serpeggiare nella popolazione, l’accoltellamento di un militare austriaco vicino a un salone da barba, la guerriglia urbana nella piazza centrale, la città lasciata di proposito al buio. I tedeschi trasformarono la Milizia di Matera in una vera e propria prigione. Vi furono rinchiusi coloro che ebbero la sventura di essere intercettati dai nazisti: militari di rientro dal fronte, persone che si trovarono nel posto sbagliato nel momento sbagliato, fatte prigioniere perché sospettate di essere spie.
L’ULTIMO CAPITOLO
Proprio il Palazzo della Milizia fu il luogo in cui venne scritto l’ultimo capitolo del dramma. I nazisti decisero di abbandonare la città non prima di aver ucciso coloro che erano stati in precedenza imprigionati.
Il Palazzo della Milizia fu fatto esplodere mentre al suo interno si trovavano sedici persone. La vittima più giovane aveva sedici anni. Il bilancio dell’avvenimento fu impietoso, con un solo sopravvissuto, Giuseppe Calderaro, classe 1922, originario del Salento, salvato il giorno successivo sotto le macerie. Fu lui a confermare la presenza delle sedici persone, sebbene non tutti i corpi furono ritrovati.
COM’È OGGI
Quello che resta è il Monumento della Milizia, tra via Lucana e via Cappuccini, posto nelle immediate vicinanze del luogo in cui sorgeva il Palazzo della Milizia. Si tratta di un cippo che ricorda l’eccidio e i morti, da considerarsi vittime non solo di una strage, ma di guerra a tutti gli effetti. Dal 21 settembre 2005 vi è stata anche apposta una lapide commemorativa che ne riporta i nomi, seguiti dalla scritta “E con loro cinque cittadini ignoti”. Sul luogo dov’era il Palazzo della Milizia è stato costruito un complesso di case popolari.