Tra lussureggianti alberi da frutto, agrumeti e uliveti a profusione e quasi al crocevia delle arterie che collegano i centri urbani più importanti della costa ionica lucana, sorge la colonia confinaria di Bosco Salice, in località Tinchi, oggi più nota come Centro Agricolo frazione di Pisticci. Si tratta di un campo di concentramento e di lavoro fascista.
A vederla oggi, non si direbbe che un secolo fa quest’area fosse del tutto inutilizzabile a fini agricoli. La malaria attanagliava le popolazioni vicine e il fitto manto boscoso, caratterizzato dalla presenza di molti ciottoli, impediva qualunque forma di coltura.
Inoltre, proprio la bellezza odierna dei frutteti sembra voler nascondere che tra il 1938 e il 1943 Bosco Salice fu un luogo di confino: circa 1600 persone, tra antifascisti, comunisti, dissidenti politici e molti testimoni di Geova (colpevoli di essere renitenti alla leva) vissero qui obbligati ai lavori forzati mentre le loro opportunità di leggere, studiare, persino ricevere la corrispondenza dai propri cari era, di fatto, preclusa o quantomeno decisamente limitata.
I primi confinati arrivarono a Pisticci nel 1925: dovevano provvedere da soli alla propria dimora, spesso adattandosi a vivere in vecchi ruderi. Ma col tempo la situazione divenne insostenibile e si decise di tentare un esperimento del tutto nuovo “educare alle leggi fascisti gli oppositori attraverso il duro lavoro”.
In questo modo, si posero le basi per la fondazione della colonia – primo embrione della futura (e popolosa) frazione di Marconia – che sorse nel 1938 su una superficie di circa 2500 ettari con il nome di “Villaggio Marconi” in omaggio allo scienziato Guglielmo Marconi.
I detenuti (o meglio i confinati) avrebbero dovuto provvedere ad attività di bonifica nelle zone paludose e insalubri, e modellare il territorio in modo che fosse adatto all’agricoltura. Negli anni, il loro lavoro portò alla costruzione di case coloniche, un centro agricolo, un villaggio e la messa a coltura di 750 ettari di terreno acquitrinoso.
Fu il primo vero e proprio campo di concentramento in Italia con un servizio d’ordine serrato.
Ma la storia racconta anche che i confinati trovarono spesso nella popolazione locale degli alleati, disposti ad aiutarli.
Oggi, Bosco Salice è al centro di un’attività di recupero delle proprie radici attraverso l’arte con il progetto di rigenerazione urbana “Roots – Storie di comunità”. Alcuni writers, con opere di street art realizzate sulle cabine Enel, intendono far conoscere la storia e l’origine dell’abitato, mettendo in luce le vicende e il coraggio dei confinati a cui è dedicato anche un monumento inaugurato nel maggio del 1980 a Marconia, opera dell’architetto napoletano Raffaele Fienca, su cui campeggia la seguente iscrizione: “Confinati nell’era del fascismo | Pgenerosa | li accolse nella sventura | uomini liberi. Essi diedero alla nostra città | lavoro, fraternità civile, coraggio. | Il comune memore.| Maggio 1980.”