La farina bianca, quella fine, non era così usuale nelle mense di tante famiglie lucane – e non solo – del secolo scorso, perché era abitudine fare il pane con farine meno “ricche”. Così quando si avvicinavano le festività natalizie, l’utilizzo della farina bianca diventava una specie di concessione al lusso.
A Matera, per esempio, si faceva U f’cc’latidd, il tarallo della Immacolata, che non era un dolce ma un pane condito con il finocchietto selvatico e realizzato, appunto, con la farina bianca fine. Ed era il “regalo” per le tavole alla vigilia dell’Immacolata, soprattutto per la cena del 7 dicembre.
Una sera particolare quella della vigilia della festività dell’8 dicembre dove, soprattutto a Matera, era tradizione la “Mangiata degli operai”. Una consuetudine, dove quella del “mangiare” diventava un’occasione premiante per gli operai, o comunque per i lavoratori che avevano faticato tutto l’anno. Ed era una straordinaria cena offerta dal “padrone”.
Ne scrive la food blogger lucana Gea De Leonardis nel suo blog “Il cuore in gola”, ricco di tanti spunti della tradizione lucana: “Era tradizione che il datore di lavoro alla vigilia della festa della Immacolata offrisse ai suoi operai o dipendenti una cena, in genere a base di spaghetti con il sugo di baccalà e a volte baccalà fritto, in genere cucinata proprio da sua moglie. In pratica una antesignana cena aziendale che si teneva quasi sempre a casa del “capo” e raramente in una delle cantine pubbliche materane chiamate ciddari”.
Una consuetudine scomparsa, come tante cose belle. Purtroppo.