I matrimoni, in Basilicata, seguono ritualità e tradizioni che ancora oggi, in alcuni casi, permangono.
In passato, però, erano spesso subite come delle vere e proprie imposizioni che, se non rispettate, avrebbero indotto la frattura immediata tra la coppia e le rispettive famiglie.
Negli anni Quaranta, subito dopo le nozze, i novelli sposi dovevano andare a vivere a casa dei genitori dello sposo. Questi, molto gentilmente, mettevano a disposizione la propria camera da letto, ma era inteso che avrebbero dovuto dormire tutti insieme nello stesso ambiente.
Certamente, le case all’epoca non avevano tre o quattro stanze come oggi, ma questo era probabilmente un modo per sorvegliare la coppia anche nei momenti più riservati.
Un’altra tradizione da rispettare era legata al nome dei figli: i genitori avrebbero potuto chiamarli come desideravano, ma solo dal quinto figlio in poi. I primi due, infatti, avrebbero dovuto portare il nome dei suoceri paterni, i secondi due dei suoceri materni e, solo dal quinto in poi si sarebbe potuto dare loro un altro nome ma solo nel caso non vi fosse un parente morto in guerra.
Tradizioni “invadenti” che, nella Basilicata tra le due guerre, erano considerate del tutto normali.