Il 2 maggio del 1953 muore, a Potenza, Teresa Motta. Questa donna, aiuto–bibliotecaria presso la Biblioteca provinciale della città, ha protetto e assistito durante la sua vita lavorativa molti dei confinati politici in Basilicata. Per tutti – antifascisti, socialisti, ebrei – Teresa è stata un punto di riferimento imprescindibile.
Tra la fine degli anni ’30 e l’inizio degli anni ’40 le province di Potenza e di Matera si riempiono di persone sottoposte a misure di internamento civile. Nel capoluogo, dopo le vergognose leggi razziali del 1938, gli ebrei sono una cinquantina. Sono laureati, medici o docenti di origine ungherese o tedesca. Nessuno di loro può uscire dall’abitato. Non possono frequentare luoghi pubblici, leggere giornali stranieri o frequentare la biblioteca. L’accesso ai libri è autorizzato dal Ministero degli interni.
Eppure, gli ingressi annui alla Biblioteca provinciale di Potenza – pur se con un orario ridotto – sono almeno 1300. Grazie a Teresa Motta, tra il 1940 e il 1942, Hans Ludovico Heimann, un ebreo viennese, può studiare un libro sulla storia delle telecomunicazioni mentre il musicologo, conosciuto in tutta Europa, Artur Neisser legge II copialettere di Giuseppe Verdi. Tra non molto, sarà trasferito ad Auschwitz e ucciso. Nessuno di loro dovrebbe trovarsi qui. I permessi rilasciati dalla questura di Potenza sono decisamente meno del numero degli internati che si reca giornalmente in biblioteca.
Teresa li protegge tutti e li assiste nei loro studi riuscendo a non attirare mai l’attenzione della direzione e della deputazione provinciale nonostante controlli sempre più severi.