Fino al 1260 Potenza è una città florida e ricca. Ma l’instabilità politica, seguita alla morte di Federico II, culmina con la battaglia di Benevento. Manfredi, figlio naturale dello Svevo, è sconfitto e ucciso da Carlo I d’Angiò. La dominazione angioina, tuttavia, non trova il consenso delle famiglie potentine più illustri che guardano, invece, con simpatia a Corradino di Svevia, giunto in Italia per riconquistare il Regno di Sicilia. E l’appoggiano.
Pagheranno cara questa scelta.
All’indomani della battaglia di Tagliacozzo, in cui trionfa l’Angiò, Potenza è distrutta. Le mura sono rase al suolo, i membri delle famiglie più potenti sono uccisi. Ovunque è violenza e saccheggio. Solo le Chiese sono salve. In molti sono obbligati all’esilio e riparano ad Acerenza.
La città resta sul pianoro devastata e spopolata.
Ma l’8 maggio del 1270, Carlo I d’Angiò redige una lettera in cui impartisce disposizioni da Napoli perché i potentini esiliati facciano ritorno nelle proprie case “con le proprie famiglie e con tutti i propri beni”. In 150 rispondono all’appello e lentamente si ricomincia a costruire. Si erigono nuovi edifici e si rinsaldano le vecchie fortificazioni.
Il capoluogo lucano è nuovamente pervaso da ottimismo e fiducia.