
L’edificio di corso Garibaldi, a Potenza, dove si riuniva il Partito Azzurro (foto archiviodistatopotenza.beniculturali.it)
Il 3 maggio 1943, a Potenza, sette studenti – Antonio Bellino, Fernando Castaldo; Aldo Urbano; Pietro Francobandiera; Donato Picciano, Italo Maruggi e Gaetano Boccia – sono arrestati dalla polizia fascista.
Sono tutti giovanissimi: hanno un’età compresa tra i 18 e i 21 anni. Si riconoscono per il fazzoletto azzurro che portano nel taschino della giacca e sono accusati di attività sovversive ai danni del regime.
Durante gli interrogatori, i ragazzi confermano i reati a loro carico. Hanno fondato un’associazione clandestina, il Partito Azzurro, che sognano possa diventare – un giorno – un vero partito. Per il momento, le loro riunioni si svolgono all’interno di un magazzino del Provveditorato agli studi in corso Garibaldi.
Uno di loro, Donato Picciano, infatti, lavora nell’istituto come impiegato temporaneo e possiede le chiavi dell’edificio. Lì, la sera, i giovani discutono di letteratura, filosofia e, soprattutto, di politica. Seguono, infatti, con apprensione le sorti dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale e sono piuttosto critici nei confronti delle alleanze imposte dal regime che, ritengono, porteranno il Paese alla rovina. Rifiutano il fascismo e studiano le teorie di Giuseppe Mazzini immaginando una loro applicazione sul territorio.
Ma queste loro posizioni e la spavalderia con cui le ribadiscono davanti alla polizia fascista costano care a ognuno di loro: Antonio Bellino, l’unico minorenne, è trattenuto nel carcere di Potenza, senza processo, per tre mesi.
Gaetano Boccia e Italo Maruggi sono però quelli a cui va peggio: mandati al confino in Abruzzo, potranno fare ritorno a casa, a Potenza, solo alla caduta del fascismo, alla fine del luglio 1943.
Prima, invocano la grazia al duce sminuendo la loro esperienza “sovversiva” nel Partito Azzurro, su consiglio dei genitori. Ma è invano.
Torneranno ragazzi liberi solo dopo il 24 luglio 1943.