È il 3 agosto 1935 quando il giovane antifascista Carlo Levi arriva in esilio in terra lucana.
L’impatto con la Basilicata, in prima battuta, non è affatto facile. Lui è di Torino, nato in una famiglia facoltosa. È un uomo colto, laureato in medicina, che ama l’arte in tutte le sue forme e che ama dipingere.
Il sud Italia, invece, è tutt’altro che florido e la Lucania è sicuramente una delle regioni più mal ridotte. Levi approda prima a Grassano e poi ad Aliano.
Durante il suo esilio, da sempre guidato da una innata e sana curiosità, non si lascia impressionare dalle difficoltà di vita della popolazione, anzi, ci entra in contatto e vuole conoscere da vicino e in maniera approfondita ogni piccola sfaccettatura di questa gente così “diversa”.
Col tempo lo scrittore riesce a farsi conoscere e apprezzare da tutti, conquistando così l’ammirazione dei suoi nuovi compaesani.
Allo stesso tempo, avendo le armi della cultura a disposizione, comprende che deve usarle per denunciare il degrado e l’incuria che pervadono la Basilicata. Un desiderio che si fa ancora più forte quando si reca a Matera che, in quel periodo, era lo scheletro di se stessa. Povertà, malattie, degrado, arretratezza, morte, sporcizia: i rioni del popolo, i Sassi, sono in uno stato di abbandono totale.
Ed è incrociando lo sguardo spento dei bambini e delle loro madri che Carlo Levi decide di denunciare.
Lo farà scrivendo il libro più importante mai dedicato al sud Italia: “Cristo si è fermato a Eboli”. Grazie a questo volume, che uscirà nel 1945, tutti potranno conoscere le reali condizioni di vita della Basilicata e, da questo momento in poi, nessuno potrà più fingere che la Lucania non esista.
Carlo Levi muore il 4 gennaio 1975, a Roma. Ma il rapporto con la Basilicata è rimasto talmente profondo nel tempo da fargli scegliere d’essere sepolto proprio ad Aliano, il paese che lo aveva accolto durante l’esilio.