È il 9 marzo 1908, a Montemurro il gemito di un bambino appena nato, rompe il silenzio del primo pomeriggio. A casa Sinisgalli, da Vito Michele e Carmina Geronima, è arrivato Leonardo.
Il piccolo cresce nel suo paese d’origine, che ama, e si appassiona al lavoro di “mastro Titillo”, dicendo a gran voce, che da grande vuole fare il fabbro, proprio come lui. Ben lontano, perciò, da quello che realmente diventerà.
A dieci anni, però, Leonardo lascia la Basilicata per raggiungere il collegio salesiano di Caserta: parte sofferente, perché non vuole lasciare né la sua terra né la sua famiglia. Ma le sue doti intellettive hanno bisogno d’essere coltivate e per questo studierà, prima in Campania e dopo a Roma, dove conseguirà la laurea in Ingegneria.
Nonostante gli studi scientifici, il suo animo è poetico, tant’è che egli stesso dice di sé che gli “sembra di avere due teste, due cervelli” tanto è indeciso sulla sua vocazione.
Parte così per Milano dove l’incontro con Ungaretti, gli cambierà la vita (perché sarà per sempre il suo mentore), dando il via alla seconda generazione di poeti ermetici.
Capisce che deve imparare a guardare il mondo attraverso gli occhi del poeta, permettendo all’ingegnere che è in lui, di fare capolino ogni tanto e riportarlo sulla strada del raziocinio, infatti, nelle sue opere non parla mai delle sue emozioni.
Le sue radici segnano profondamente il suo modo di essere. D’altra parte, come dice lui stesso: “Girano tanti lucani per il mondo ma nessuno li vede. Non sono esibizionisti. Il lucano, più di ogni altro popolo, vive bene all’ombra”.