Ai posti di partenza per la gara sui 500 metri, sulla pista d’atletica di Busto Arsizio, nel pomeriggio del 26 maggio 1984, i riflettori non sono puntati sul giovane Donato Sabia, atleta potentino di ventuno anni, slanciato, schivo e sorridente, dal profilo affilato e dai profondi occhi blu. E’ un grande errore.
Negli attimi che precedono il via, l’aria sembra silenziosa e immobile ma in realtà è decisamente elettrica. Poi, il suono dello sparo. La tensione si scioglie all’improvviso mentre le gambe cominciano a correre. Gli atleti tentano di guadagnare terreno gli uni sugli altri. I respiri diventano in ogni istante sempre più affannosi. Roberto Ribaud, il campione italiano in carica, tenta disperatamente di accelerare, a più riprese. Ma non c’è storia: Donato Sabia era partito molto più veloce e rimase avanti tutto il tempo. Imprendibile.
Accanto a lui c’è l’intera città di Potenza, incollata alla tv ma, non avvezza alle luci della ribalta, forse poco fiduciosa in una vittoria del suo concittadino. E’, invece, un trionfo storico e spiazzante. E tutti devono ricredersi.
Quando il cronometro si ferma sul tempo di 1’00″08 è chiaro che è stato conseguito il record del mondo sulla distanza, che è rimasto ineguagliato per quasi ventinove anni.
Oggi, dopo trentasette anni, quella resta ancora la migliore performance italiana di sempre sui 500 metri. Un tempo incredibile, merito del talento e della tenacia di uno straordinario atleta che segnò, in quel giorno di primavera del 1984, uno dei punti più alti mai raggiunti dall’atletica lucana.