È il 5 ottobre 1883 e un giovane Giovanni Pascoli, che da circa un anno insegna al liceo classico Duni di Matera, si accinge a scrivere una lettera indirizzata al suo amico e collega Giosuè Carducci.
Il soggetto di questa lettera non è altri che la città stessa: Pascoli, infatti, ama raccontare la stranezza e la diversità di Matera, parlandone con la curiosità dell’insegnante e il guizzo del poeta.
Quella di oggi però è una missiva diversa dalle solite, perché se normalmente ama esporre il modo bizzarro e arcaico con cui i materani si vestono o la mancanza della cura nel modo di porsi o la “sinistramente” (per citare un suo modo di dire) bellezza di Matera, il tema su cui focalizza la sua attenzione odierna è la mancanza di cultura.
Lamenta una biblioteca scarna e poco fornita, la totale mancanza di librerie e, di conseguenza, l’impossibilità di avere uno scambio culturale anche con i suoi stessi colleghi insegnanti che, “pare abbiano avuto tutti la scienza infusa”.
Quello che Pascoli non riesce a spiegarsi è come mai una città che ha così tante potenzialità territoriali, storiche e artistiche, possa versare in una condizione così culturalmente disastrosa? E perché al Governo tutto ciò non interessa?
Con questi interrogativi, più o meno espliciti, Giovanni vaga per le strade di Matera, sentendo dentro di sé un legame profondo con la stessa, perché, per sua stessa ammissione, è stata la città che più gli assomiglia e che più di ogni altra gli ha sorriso, nonostante la sua dura realtà.