Il “Lucania ’61” esposto nel Museo nazionale di arte medievale e moderna di Palazzo Lanfranchi, Matera (foto Cinzia Astorino/Wikimedia Commons)
Il 12 maggio 1976 a Matera giunge il dipinto Lucania ’61, il telero con cui Carlo Levi ha raccontato la vita nella Basilicata dimenticata.
È come se si trattasse di un ritorno, perché, quello di oggi, è un ricongiungimento tra l’opera del pittore torinese e la terra che l’ha ispirato. Ma, ancor più che la terra, sono le persone, i volti e le espressioni della gente lucana, che hanno scalfito l’animo di Levi al punto tale da sentire l’esigenza di raccontare la loro vita sia in lettere (con il libro “Cristo si è fermato a Eboli”), sia su tela.
L’opera, lunga oltre venti metri e custodita all’interno di Palazzo Lanfranchi, fu commissionata dal Comitato per le celebrazioni del Centenario dell’Unità d’Italia per rappresentare la Basilicata.
Come lo stesso Levi ha raccontato, il filo conduttore di Lucania ’61 è Rocco Scotellaro, “il poeta della libertà contadina” di Tricarico, morto troppo presto ma reso eterno dalle sue opere, per cui lui per primo nutre una stima infinita.
Sullo sfondo di una Lucania delusa e abbandonata al proprio destino, il pittore racconta la vita di Rocco bambino prima e adulto poi. Lungo quei venti metri ci sono dipinti mille volti, molti dei quali sono di donne, vecchie, stanche, avvizzite. Oppure giovani, gravide, con uno stuolo di bambini al seguito. E poi loro, proprio i bambini, quelli che guardano nel vuoto perché non vedono un futuro. Gli uomini invece sono dediti al lavoro o attenti ad ascoltare Rocco Scotellaro che parla.
Quella di Lucania ’61 non è solo un’opera d’arte, è un percorso intimo dentro la natura della mente umana dei lucani in quel periodo storico. E’ una fotografia cruda e realista della Basilicata, questo posto tanto amaro quanto accogliente, dove Carlo Levi ha trovato ispirazione.
L’opera, partita da Torino, oggi arriva a casa sua, dove è giusto che rimanga per sempre.