Il 18 agosto 1860 la provincia di Potenza è la prima dell’Italia continentale a sollevarsi contro i Borboni, dichiarando decaduto Francesco II e proclamando la sua annessione al futuro Regno d’Italia.
In quei giorni Garibaldi, dopo aver conquistato Salemi e aver assunto la dittatura della Sicilia in nome di Vittorio Emaneule II, sta risalendo la Penisola verso Napoli. Il fervore popolare che accompagna la sua spedizione è enorme. A Napoli, dove già nel 1854 si era costituito un Comitato finalizzato a “liberare l’Italia dalla tirannide interna dei principi e da ogni potenza straniera”, si intende ora costruire una rete associazionistica tra Basilicata, Cilento e Puglia che appoggi Garibaldi e i suoi volontari.
Un’insurrezione in Lucania, in particolare, è particolarmente auspicata in considerazione della sua posizione di cerniera tra le regioni meridionali. Giacinto Albini, nominato commissario promotore della provincia di Basilicata, in stretto raccordo con Napoli, ha già istituito un comitato territoriale a Corleto Perticara. Da qui, le sue ramificazioni si sono estese a tutta la regione.
Il 13 agosto, i tempi sono ormai maturi. Albini, insieme a Nicola Mignogna e a un uomo di fiducia di Cavour, il colonnello Boldoni, organizza la rivolta.
Il 18 agosto, a mezzogiorno, i gruppi insurrezionali entrano in città. La gente del popolo li guarda, molti li osservano dalle baracche costruite dopo il terribile terremoto del 1857. Le truppe borboniche, invece, li attendono in piazza Sedile, il cuore della vita cittadina. E lì la bolla esplode.
Lo scontro è sanguinoso e violento. Diversi sono i feriti e i morti, anche tra i popolani, mentre l’insurrezione si espande tra i vicoli del centro. Quella sera, le truppe Borboniche riparano verso Tito mentre altri 800 uomini, comandati dal colonnello Boldoni, entrano in città.
Il giorno seguente gli insorti costituiscono a Potenza il “governo prodittatoriale”, in nome di Vittorio Emanuele e Garibaldi. L’Unità d’Italia, ora, sembra ad un passo.