Le rovine di Pertosa (Potenza) in una foto del 1857 scattata da Claude Mallet (foto Wikimedia Commons)
La sera del 16 dicembre 1857 la terra in Basilicata comincia a tremare. Tre violentissime scosse si succedono tra le 20:15 e le 21:15 radendo al suolo molti paesi della Regione. Montemurro (Potenza), in pochi minuti, cessa d’esistere. Ma anche Polla, Grumento Nova, Tito, Viggiano e Marsico Nuovo, tutte nel Potentino, ne escono devastate. La vita di migliaia di persone è spezzata; l’economia dell’intera regione è affossata.
Si tratta, per i contemporanei, del terremoto più forte mai registrato in Italia e il primo ad essere documentato fotograficamente. Il Times è uno dei primi a raccontare il sisma, all’estero. Poi seguono altre testate in Francia, Gran Bretagna, in Belgio. Le immagini dello sfacelo, per la prima volta, fanno il giro del mondo.
A cavallo tra Basilicata e Campania, i danni sono innumerevoli. Improvvisamente, persone che già vivevano in una strisciante miseria hanno perso anche il tetto. Molti imprenditori che avevano usato i propri risparmi per realizzare un progetto, lo vedono andare in fumo. È una catastrofe. È un’ecatombe. Le stime non ufficiali parlano, infatti, di 19.000 vittime.
Le baracche dei terremotati sarebbero rimaste a lungo in ciò che rimane delle città. A Potenza, in piazza Prefettura, ve ne sono a decine. Eppure, nonostante il disastro, il governo borbonico non interviene o lo fa in modo del tutto inadeguato.
A fine marzo i morti non saranno ancora stati sepolti.
Un ingegnere e sismologo irlandese, Robert Mallet, giungerà in Basilicata nei mesi immediatamente successivi per definire i tratti del disastro e redigere un rapporto sulla dinamica dei terremoti per conto di una spedizione scientifica della Royal Society of London. È il primo studio di questo tipo.
Al suo arrivo, Mallet viene sopraffatto dalla commozione e dal dolore. Non ha mai assistito a una simile catastrofe per intere comunità infrante.