“Il Socrate cristiano”, così era chiamato Giuseppe Capocasale, filosofo e abate originario di Montemurro, in Basilicata. L’appellativo rimandava, non a caso, alla doppia “natura” della sua figura, che si è distinta per aver dedicato la propria vita agli studi filosofici e alla fede. Una data che ha segnato, in tal senso, l’esistenza del filosofo è stata il 25 maggio del 1800: Capocasale ha ormai più di quarant’anni quando indossa l’abito talare per la prima volta, grazie a una licenza speciale concessa dal Re e dal clero.
Quello sarebbe stato un passaggio fondamentale che gli avrebbe aperto poi la strada dell’insegnamento: nel 1804 inizia infatti a insegnare Metafisica e Logica all’Università di Napoli.
La vita di Capocasale sino a quel momento non era stata affatto semplice: era rimasto orfano di padre da adolescente, aveva vissuto spostandosi tra i borghi lucani di Stigliano, San Mauro Forte e Corleto Perticara e si era guadagnato da vivere facendo l’insegnante privato, un’attività grazie alla quale, tuttavia, si era appassionato allo studio delle discipline umanistiche e giuridiche.
Sceglie di non lasciare mai l’approfondimento della filosofia di stampo lockiano e i suoi studi, tanto da arrivare persino a rinunciare a incarichi di grande rilievo nel mondo ecclesiastico (per due volte rifiuta il titolo di vescovo). A posteriori verrebbe da dire che la sua è stata la scelta più giusta. Il suo contributo sarà, infatti, riconosciuto anche da filosofi di grande notorietà come Giovanni Gentile ed Eugenio Garin.