Il 3 settembre 1809 a Potenza nasce Emilio Maffei.
È destinato ad essere un prete sui generis nell’Italia del XIX secolo, evangelico e carbonaro, che crede nella Democrazia e nella Repubblica come mezzi per porre fine alle disuguaglianze sociali e fa dello Stato laico e dell’istruzione pubblica i suoi vessilli. Per seguire coerentemente i suoi ideali arriverà persino a rinunciare all’abito talare.
Quando il 29 febbraio 1848, Ferdinando II concede la Costituzione sotto la spinta dell’insurrezione a Palermo, in tutto il Regno delle due Sicilie si propaga l’entusiasmo. In Basilicata, le campagne si mobilitano sollecitando la divisione delle terre demaniali. Ma, poco dopo, la notizia del ritiro della carta costituzionale da parte del sovrano genera rabbia e confusione. Maffei, insieme al patriota Vincenzo D’Errico, prende in mano la situazione e in un memorandum chiede l’annullamento degli atti legislativi contrari alla costituzione promettendo anche la parcellizzazione dei terreni agricoli.
È la sua condanna. Enrico è arrestato dalla polizia borbonica e condannato a morte, poi la sua condanna è commutata all’ergastolo e all’esilio.
Dopo l’Unità d’Italia, torna a Potenza ma è disilluso dalla politica sabauda e dallo stesso Garibaldi, nei confronti del quale non lesina toni aspri. La miseria, nella sua terra, si è addirittura accresciuta togliendo anche il respiro ai contadini.
Decide allora di togliersi l’abito talare e di dedicarsi alla politica cittadina diventando sindaco prima e consigliere, poi.
La giustizia terrena, ne è certo, si costruisce da qui.