Il 7 novembre 1647, a Potenza, scoppiano dei violenti tumulti.
Esplodono sulla scia della rivolta che dall’inizio dell’estate ha investito Napoli. È guidata da Masaniello, un pescivendolo che si è fatto portavoce della rabbia e della frustrazione del popolo. Le tasse ingiuste ed eccessive che gravano sui più umili, infatti, strozzano ogni attività. Le più insopportabili sono quelle che riguardano gli alimenti essenziali. Come sulla frutta, fresca e secca. È proprio questo il cibo più diffuso sulle tavole dei popolani, insieme al pane.
L’esasperazione e l’intolleranza antispagnola da parte dei più poveri divampa anche nel potentino e si scaglia contro i nobili, che diventano – tutti- il capro espiatorio della sommossa. Tra loro c’è anche Giuseppe Rendina, un sacerdote destinato a diventare, tra non molto, uno dei più importanti storici lucani. Sarà, infatti, il primo a tentare di mettere ordine nella storiografia del capoluogo della Basilicata, fino a questo momento giudicata troppo lacunosa. Quando anche la sua casa viene incendiata, Rendina scappa a Roma. Vi resterà per qualche anno. Poi, farà ritorno e scriverà la sua “Istoria di Potenza”.
Intanto, però, i moti proseguono. In città sono sedati rapidamente ma nelle campagne intorno si segnalano numerosi fenomeni di violenza.
Non durerà a lungo. In poche settimane tornerà la consueta calma.